La scomparsa di Umberto Eco ha spinto in acqua con un forte vento La Nave di Teseo, casa editrice indipendente (lui stesso ne era diventato fondatore e socio) dei fuoriusciti da Mondazzoli. Così, l’ultimo suo libro, Pape Satàn Aleppe, uscirà non più a maggio ma il prossimo 27 febbraio. Poi, seguiranno i precedenti volumi di saggistica, mentre bisognerà aspettare un anno per la cessione dei diritti dei suoi romanzi. Pape Satàn Aleppe raccoglie Le bustine di Minerva, le rubriche che Eco ha tenuto sull’Espresso dal 2000 a oggi (quella del 27 gennaio era dedicata a Francesco Hayez in mostra a Milano e al suo essere «senza saperlo, post-moderno» per quel vivere immerso in «citazioni extrapittoriche»). L’interesse dell’antologia è ora tutto puntato sulla «società liquida e i suoi sintomi»; altre «bustine» figuravano già nel Secondo diario minimo.

Elisabetta Sgarbi, dimessasi da Bompiani in novembre dopo l’acquisizione da parte del gruppo di Cologno Monzese, tra i fondatori – e direttrice editoriale – della Nave di Teseo, è convinta che la morte di Eco non lasci in eredità un vuoto nel panorama culturale italiano, perché l’intellettuale ha comunque consegnato ai posteri «la sua monumentale opera e a noi tutti la responsabilità di interpretarla. Il corpus delle sue imprese è chiaro e nitido ed è luce che ci fa andare avanti. Egli è vivo in noi».

Partiamo dagli avvenimenti più recenti: Umberto Eco, pur giudicandola «una cosa da pazzi» aveva deciso di uscire da Mondazzoli, scegliendo la nuova avventura editoriale La Nave di Teseo, che la prossima settimana si presenterà al mondo proprio pubblicando il suo «Pape Satàn Aleppe». Con quali argomentazioni fece questa mossa?

La motivazione della sua uscita dalla Bompiani di Mondadori non era assolutamente ideologica. Scherzando, ma non scherzando per nulla, diceva che se al posto di Marina ci fosse stato Vendola, per lui sarebbe stata la stessa cosa. La sua motivazione era editoriale, e peraltro espressa chiaramente sin dal mese di marzo, nel suo appello sul Corriere della Sera, nei suoi articoli su Le Monde e Repubblica: in nessun paese europeo,un editore va oltre il 24% del mercato interno. Il 35% o il 40% sono percentuali che – secondo Eco, e secondo noi tutti che siamo saliti sulla Nave – non fanno bene al mondo dei libri. Eco aveva fondato La nave di Teseo, ma non voleva assolutamente due cose: che la casa editrice si fondasse su di lui; e non voleva fare l’editore. Diceva: io rischio i soldi, voi il posto di lavoro e la faccia. Io scrivo, voi fate gli editori. E ci teneva molto che all’atto della fondazione ci fossero tanti autori presenti. Ha avuto modo di vedere gli uffici, di visitarli insieme a sua moglie Renate. Di vedere il progetto grafico di Cerri. Di correggere le bozze del suo ultimo libro, che uscirà la prossima settimana. Ha lavorato, insomma, sempre, fino all’ultimo. E sapeva farci lavorare.

Ci può affidare qualche suo ricordo della lunga collaborazione in Bompiani, la figura intellettuale e anche amicale di Umberto Eco? Sue passioni, idiosincrasie, ossessioni culturali?

Non posso. Davvero. Sono troppi. C’è un tappo di dolore che non mi permette di ricordare. Quello che mi impressionava era la sua generosità. Gli studenti lo ricorderanno sempre e per sempre. Era amato dai giovani perché un esempio di rigore e di come il rigore morale e intellettuale possa essere pieno di gioiosa ironia.