È uscito il 2 ottobre il terzo volume e subito si torna a parlare di un adattamento per il piccolo schermo di Monstress, la saga a fumetti che da due anni ormai fa man bassa dei più importanti riconoscimenti internazionali, dagli Eisner Awards agli Hugo.
Per il fantasy si sta approntando una nuova primavera: HBO sta preparando il prequel a Il Trono di spade (e in primavera andrà in onda l’ottava e ultima stagione della serie tratta dai romanzi di George R. Martin) e Amazon Studio sta lavorando per studiare una nuova versione de Il Signore degli Anelli.
Cos’ha dunque Monstress per potersi mettere accanto a due giganti da milioni di copie vendute e club di affezionati, per non dire di ossessionati in tutto il mondo? Beh anzitutto direi, i disegni, delle vere e proprie tavole pittoriche, realizzate dall’artista giapponese Sana Takeda che ha portato alcuni stilemi propri del manga nell’universo creato dalla scrittrice americana Marjorje Liu.
Il terzo volume (Il Rifugio) segue i primi due capitoli contenenti ciascuno sei episodi, pubblicati da Mondadori Ink (pp. 208 e pp. 152, entrambi 19 euro).
Dal punto di vista dello storytelling la prima cosa davvero molto interessante da dire è la rivisitazione in chiave femminile di un universo, quello fantasy, tradizionalmente dominato da figure maschili o comunque riconducibili ad esso.
A partire dalla protagonista, Maika, una giovane e bellissima ragazza, dai tratti molto angelizzati, tipici del manga, il cui viaggio alla ricerca delle proprie radici in un mondo dominato dalla brutalità è un po’ il segno conduttore di tutto il racconto.
La prima volta che la incontriamo è una creatura senza nome e senza onore, una filiforme ragazza senza un braccio e con un occhio rovesciato tatuato in mezzo al seno. È il lotto numero nove di una vergognosa asta di esseri umani, vergognosa come tutte le aste. Diciassette anni, vergine, il primo prezzo è di cinque pezzi d’oro.
Viene spacciata per un’arcanica, una razza più antica degli esseri umani, dotata di un bagaglio di conoscenze divenuto a loro estraneo, essoterico, astruso.
I partecipanti all’asta sono tutti uomini, da un lato allettati dall’avvenenza della ragazza, dall’altro perplessi dalla sua mutilazione e da quell’occhio al centro del corpo. Ma poi, improvvisamente si fa avanti una donna bellissima, è la Cumaea, una sorta di regina di un ordine di monache-streghe, la quale obbliga la banditrice a regalarle la ragazza assieme ad altri curiosi personaggi presenti all’asta, un bambino con la coda di volpe, un altro con le ali e così via.
Siamo a Zamora, megalopoli avente però le sembianze di una città medievale. «La guerra aveva distrutto tante cose. Ma alcune città si erano ricostruite… come nulla fosse accaduto. Peccato che le persone non l’avessero fatto», dice la ragazza senza nome mentre abbandona la città che evidentemente negli ultimi anni è stata la sua.
Il senso della storia di Maika sarà appunto quello di riappropriarsi del proprio vero nome, della propria vera storia, della propria identità, rigettando a mare quella affibiatagli addosso dagli schiavisti che comprano carne umana tanto al chilo.
Si tratta di un romanzo di formazione, di una presa di coscienza di chi si è e del proprio ruolo in un mondo ridotto ad un caotico equilibrio regolato soltanto dalla violenza dei soldi.
Questo significa anche conoscere i propri poteri soprannaturali, risalenti a nozioni magico-misteriche di cui sono depositarie proprio quelle monache- streghe, di cui la Cumaea, la donna che ha acquistato Maika, è la regina.
Maika intanto spezza le catene che la tengono materialmente incollata al sordido carcere in cui è stata rinchiusa e, insieme a quell’insolito bambino con il viso da putto e la coda di volpe, scappa via. A loro si aggiungerà un gatto con due code innamorato delle citazioni dei poeti e assai circospetto di fronte a tutte le novità che si porranno nel loro cammino. Si scoprirà essere un Necromancer, un essere in grado di parlare con i morti.
Come si vede i collegamenti di Monstress con gli universi della letteratura fantastica avviene per segmenti, la negromanzia, la magia stregonesca sono elementi presi ed isolati per poi essere reintrodotti in un universo diverso da quello nel quale sono nati.
Altro elemento interessante trasportato nel mondo fantasy è quello degli animali parlanti. A parte il gatto c’è Jan, una tigre, vecchio lupo di mare molto legato alla madre di Maika (morta da tempo), al quale lei ricorre per farsi trasportare in una remota e pericolosissima isola delle Ossa, dove sono imprigionate le anime di molte persone e da cui Maika spera di poter venire a sapere qualcosa in più sul suo destino.
Nel frattempo però attorno a lei si è scatenata da più parti una feroce caccia, le monache- guerriere, irritate da quella ragazzina tanto insolente da essersi ribellata alla loro antica e temuta autorità.
Ma soprattutto, ed è la ragione per cui è inseguita con tanta veemenza, Maika ha in mano quel frammento di maschera dal quale riceve poteri grandissimi ma anche tremendi, che lei stessa fatica a padroneggiare, un potere antichissimo, primigenio che si è installato nella sua testa e le parla, suggerendole azioni barbare, come divorare quel bambino con la coda di volpe che le sta attaccato come ad una madre.
Il potere come possibilità di assoggettamento del creato ma anche come peso che schiaccia chi lo detiene, un tema comune a molte saghe, si pensi al luciferino luccichio dell’anello nell’opera di Tolkien. Un altro importante elemento simbolico in grado di farci capire la complessità e il fascino di questo universo narrativo in cui la magia, la potenza delle tradizioni, la lotta per il potere, si fonde con tematiche assai contemporanee con il genere e la ricerca di uno spazio e di un tempo diversi da quelli abitati dal potere.