Ai primi appelli abbiamo partecipato con passione: era intollerabile pensare di non trovare il manifesto dal giornalaio. Quando l’allarme è diventato semestrale e poi costante la tensione è calata: ri-sta per ri-chiudere il ri-manifesto. Firmate un appello, scrivete qualcosa, fate un disegno. Ci siamo anche stancati lo confesso, abbiamo pensato, datevi una regolata, trovate un equilibrio.

Oggi mi trovo di nuovo a scoprire che ci tengo a questo giornale. Forse solo perché se il manifesto ancora c’è, abbiamo la prova ontologica della necessità della sua esistenza. Qualche mese fa mi trovavo in un paesetto periferico e nell’edicola, le prime pagine dei giornali erano esposte una accanto all’altra, su una pedana. Si poteva dare un’occhiata per scegliere. Ogni tanto mi affacciavo con l’idea: fammi comprare il giornale. Davo uno sguardo ai titoli e una zaffata di arroganza, di prepotenza, mi respingeva, e spesso uscivo a mani vuote. Finché un giorno è arrivato il manifesto, superando le difficoltà di distribuzione. Vederlo mi ha dato un gran senso di sollievo e ho ripreso a leggerlo. La politica spiegata con chiarezza, il cinema e la musica che sembra percorrano la loro ricerca come se nulla fosse cambiato. Un rifugio dalla barbarie.

Forse il fatto che i partiti che rappresentava il manifesto siano usciti di scena ha creato molto caos, ma ha tolto anche qualche scelta obbligata. Tutto sommato, se dovessi scrivere a babbo natale, non chiederei molto a un quotidiano. Vorrei che mi aiutasse a leggere quello che succede, senza strumentalizzarmi, senza farmi sentire una merce di scambio.