Uscito a poche settimane dalle presidenziali, La France identitaire, La Découverte (pp. 216, euro 17), il libro di Eric Dupin che indaga sulla marea montante dell’inquietudine francese, quell’ossessione identitaria che sembra assillare un paese stretto tra crisi sociale e deriva politica e che non a caso può essere sintetizzato nello slogan scandito dal pubblico dei comizi di Marine Le Pen, «on est chez nous!», offre una fotografia per certi versi drammatica della vigilia del voto.

Giornalista e blogger, Dupin passa infatti in rassegna figure e simboli di quella che definisce come «la reazione che viene», dai gruppi estremisti che difendono il «comunitarismo bianco» fino ad insospettabili intellettuali ex gauchisti che si fanno cantori del «declino della nazione», passando per il Front National, il centrodestra e anche alcune figure del Ps, registrando nel lungo percorso quelle che sono però pulsioni ben più profonde che attraversano l’intero paese.

Partiamo dalla fine: quanto ha pesato in questa campagna il tema dell’identità nazionale e non c’è il rischio che il voto si trasformi in un referendum tra chi denuncia il declino del paese e quanti sostengono invece una visione più ottimista e la possibilità di un cambiamento?

Le elezioni sono state dominate da elementi di natura personale che hanno avuto la meglio, perlomeno fino agli ultimi giorni, sia sui grandi temi di fondo, sociali ed economici, sia sul continuo interrogarsi sull’identità del paese. Di uno dei favoriti della vigilia, il candidato di destra François Fillon, si è parlato per gli scandali che lo hanno riguardato, mentre sia Emmanuel Macron che Jean-Luc Mélenchon mi pare abbiano puntato tutto sul proprio carisma più che sui programmi.

Però, il rischio che le elezioni si trasformino in un referendum del tipo di quello che ha descritto lei, è evidente, specie nel caso passino il turno Le Pen e Macron che sostengono rispettivamente le posizioni più nette e contrapposte quanto al declino del paese e alla necessità di una chiusura piuttosto che di un’apertura al mondo della Francia.

Uno degli elementi forti della campagna riguarda la vicinanza di toni e posizioni tra Fillon e Le Pen. Come si è arrivati a tutto ciò?

È da oltre un decennio che si assiste ad un progressivo superamento della frontiera ideologica che separava la destra repubblicana dall’estrema destra. La deriva si è fatta più evidente negli anni che hanno visto Nicolas Sarkozy guidare il paese e la droite. Sarko ha adottato un approccio demagogico, mettendo l’accento sul fatto che il paese sarebbe minacciato e creando addirittura un «ministero dell’identità nazionale e dell’immigrazione», per rendere esplicita la natura di questa minaccia. Il risultato è che oggi esiste una sorta di continuità tra la linea di Fillon e quella di Le Pen.

Il dibattito sull’identità che ha coinvolto figure che vanno dal filosofo, ex di sinistra, Alain Finkielkraut fino al giornalista, di destra, Eric Zemmour, si traduce in una denuncia del declino del paese che occulta completamente la crisi sociale. Cosa ne pensa?

Il discorso identitario si intreccia con una visione pessimistica quanto al futuro del paese. Il «declino» è messo in relazione con la mancata integrazione di una parte degli immigrati arrivati nel paese negli ultimi decenni, con la creazione di autentici ghetti urbani e il crescere di fratture e divisioni in seno alla società. Personalmente credo che per affrontare questa situazione bisogna misurarsi con la disoccupazione di massa ma anche considerare come nell’era della globalizzazione vanno rivitalizzati i valori repubblicani e non ci si possa rassegnare all’idea di un paese diviso.

All’estremo di questo schieramento ci sono le tesi razziste sul «grand remplacement», la sostituzione dei «francesi» da parte degli immigrati, sostenute dallo scrittore Renaud Camus, e in Italia dalla Lega. Quanto sono diffuse?

Camus sostiene la «re-emigrazione», vale a dire una cacciata di massa degli ex migranti non bianchi e non cristiani verso i paesi d’origine: un orizzonte che porterebbe la Francia alla guerra civile. Il problema è che questo modo di vedere le cose si sta diffondendo sempre di più, specie tra i più giovani, attraverso un numero crescente di siti internet, blog e social che si indirizzano soprattutto ad un pubblico poco formato politicamente e attratto da rappresentazione sempliciste se non complottiste della realtà.

Sono siti come FdSouche, che difende i «veri francesi» e si contrappone al politicamente corretto. Questa «fasciosfera» può pesare nel voto come accaduto negli Usa a favore di Trump?

Certamente, e un primo effetto di questa campagna spesso invisibile lo si vede già. Malgrado i gruppi dell’estrema destra francese non raccolgano complessivamente che qualche migliaio di aderenti, il dibattito sulle idee che propugnano è costante in rete come sui social. E se si osservano i dati sulle intenzioni di voto ci si rende conto che nello spazio di pochi anni nella prima fascia di elettori, quelli compresi tra i 18 e i 25 anni, Marine Le Pen è largamente in testa. Un segnale tutt’altro che rassicurante.