Appena è arrivata la notizia del raggiungimento del numero di firme necessarie a chiedere il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, il pensiero dei parlamentari più attenti che seguono la trattativa sulla legge elettorale è corso a un altro referendum. Quello abrogativo, chiesto dalla Lega per il tramite dei consigli regionali, che punta a trasformare il sistema elettorale in vigore – misto di maggioritario e proporzionale – in un sistema tutto uninominale all’inglese. È chiaro a tutti che se la Corte costituzionale dovesse ammettere la richiesta di referendum leghista, tutte le ipotesi in campo per la riforma della legge elettorale – che si concentrano al momento su un sistema a base proporzionale – finirebbero travolte. E i sostenitori delle correzioni in senso maggioritario, tipo il doppio turno nazionale propugnato fino a poco fa dal Pd, rialzerebbero la testa.

Il quesito studiato dalla Lega aveva un punto debole che ne lasciava prevedere la non ammissibilità, perché la Corte costituzionale è molto rigorosa nel non dare il via libera a referendum elettorali che rischiano di produrre sistemi non immediatamente applicabili. Ma proprio la certezza che ci sarà un referendum sul taglio dei parlamentari, e che dunque la riforma costituzionale non potrà essere promulgata il prossimo 13 gennaio ma dovrà attendere il giudizio del popolo, aumenta le chance che il progetto leghista di una legge elettorale all’inglese possa farsi strada.

Il quesito messo a punto dal senatore Calderoli, infatti, per assicurare l’applicabilità di un sistema esclusivamente uninominale che deriverebbe dalla vittoria del Sì al referendum abrogativo, si appoggia su una leggina (firmata sempre da Calderoli) che delega il governo a disegnare i nuovi collegi elettorali entro due mesi. La leggina era stata prevista per la riforma costituzionale che taglia i parlamentari e i due mesi sarebbero scattati dalla promulgazione della riforma. Quindi, la Corte costituzionale nella camera di consiglio nella quale deciderà sull’ammissibilità, il prossimo 15 gennaio, poteva trovarsi di fronte a un referendum abrogativo che si teneva in piedi su una delega che nel momento in cui si sarebbe tenuto il referendum (in primavera) sarebbe stata sicuramente esaurita, scaduta. Probabilmente Calderoli aveva immaginato questo problema, infatti nell’operare il taglia e cuci con il quesito abrogativo, dalla leggina (la 51 del 2019) aveva tolto anche il riferimento all’entrata in vigore della legge costituzionale, lasciando solo un generico termine di 60 giorni (un po’ appeso in aria). Il punto però restava debole, perché in primavera il referendum avrebbe dovuto resuscitare una delega che, per il trascorrere del tempo, poteva essere considerata morta. E che adesso invece, con la mancata promulgazione della riforma, sarà ancora in vita. Forse è per questa ragione che i senatori della Lega avevano detto ai promotori del referendum confermativo che sarebbero stati pronti a dare una mano nel caso fossero mancate le firme. E che Salvini ieri ha benedetto il referendum costituzionale: «È la scelta migliore»