Il passaggio di fine d’anno è una buona occasione per fare il punto sulla situazione generata dall’ordalia del 4 dicembre. Quali prospettive si sono aperte, quali problemi restano insoluti.

La bocciatura della controriforma costituzionale è stata al tempo stesso sottovalutata e sopravvalutata. Paradossalmente, per la stessa ragione. Se ne è festeggiata la conseguenza immediata, la caduta del primo governo Renzi. Ma si è prontamente sorvolato sui rischi capitali che la Repubblica ha corso, disperdendo la lezione che occorrerebbe trarre. Ci si è fermati giusto sul ciglio di un burrone. Non è la prima volta in questi vent’anni che il paese si consegna all’arbitrio di un ras, sperimentando l’inefficienza dei propri anticorpi.

Per contro non è vero che, vinto il referendum, la nottata sia passata e ci attendano giornate radiose. Non soltanto perché, com’è evidente, Matteo Renzi non intende gettare la spugna e liberarcene, sempre che ci si riesca, non sarà facile. Né solo perché l’ultraventennale disastro intellettuale e morale della nostra classe dirigente ha prodotto uno scenario politico disperante. Preconizzare scenari di rinascita appare avventato perché tutto lascia presagire che il 4 dicembre non lascerà traccia. Il cacofonico concerto delle forze politiche prodotto da leggi elettorali consacrate alla governabilità neoliberale troverà il modo di garantire la continuità col passato (cioè la propria parassitaria persistenza); e quella sonora sberla inflitta a un’accolita di apprendisti tirannelli sortirà al più un effetto omeopatico. Riducendosi a un massaggio rivitalizzatore, o a un intervento di lifting.

Fosse vero che si considera il trionfo del No una cesura, ne deriverebbe almeno il tentativo di chiarire che cosa si è finalmente concluso il 4 dicembre e quando ciò che è finito era cominciato. Invece qui si apre, in quella che ama definirsi sinistra, un grande silenzio, che ribadisce la rimozione del passato sottesa anche alle letture riduttive del voto referendario. Nessuno, in questa fase di incubazione di nuove alleanze politiche, ritiene di dover spiegare perché si sia dovuti arrivare alla resa dei conti.

Certo, con la sua fissazione narcisistica Renzi è un ideale capro espiatorio. Ma se è stato l’indiscusso protagonista di tre anni orribili, non pare si sia avvalso di poteri dittatoriali per tormentare chi in questo paese cerca di studiare; chi lavora (o prova a lavorare) sotto un padrone pubblico o privato; chi campa di pensione e ha bisogno dello Stato sociale; chi paga le tasse. Né risulta che abbia dovuto ricorrere alla minaccia nucleare per varare un’oscena legge elettorale; per arrivare a un passo dalla distruzione della Carta costituzionale; per impiegare i soldi pubblici come mance elettorali; per dispensare nomine e regalie agli amici del proprio quartierino.

Chi ieri gli ha graziosamente concesso di arrivare alla guida del paese e poi di rimanerci seminando disastri fa oggi la voce grossa e s’impanca a salvatore della Patria. Chi vent’anni fa ha ridisegnato il sistema politico italiano per neutralizzare le energie sociali del paese si atteggia ora a vendicatore della Costituzione antifascista. Ma che costoro si guardino bene dal fare i conti col passato, che fuggano come la peste qualsiasi seria discussione sulle ragioni ideologiche e politiche che li hanno ispirati nel tempo, non lascia dubbi sulle loro reali intenzioni.

Parliamoci chiaro: che al referendum il No abbia stravinto è fondamentale ma non cambierà nulla nella teoria e nella prassi della sinistra perbene. Renzi sarà stato – al meglio – un incidente di percorso, a valle del quale restaurare l’antico tran tran, tra lenzuolate e precarietà (in principio fu il pacchetto Treu), guerre umanitarie e nuovi ulivi. Alla peggio, e in attesa di un nuovo appassionante appello al cielo, si cercherà di venire a patti col nuovo che avanza, fingendo di non avere responsabilità nella sua resistibile ascesa. Chi il 4 dicembre ha sognato di voltare finalmente pagina farebbe bene a tornare con i piedi per terra. Si risparmierà almeno un brusco risveglio.