Il disegno di legge 1345 in materia di delitti contro l’ambiente approvato ieri al Senato introduce i reati di inquinamento ambientale e alcune nuove fattispecie, come l’impedimento al controllo e l’omessa bonifica. I primi commenti della politica parlano di una risposta alla prescrizione del processo Eternit di novembre o alla situazione devastante del territorio casertano. Per il ministro della Giustizia Andrea Orlando si tratta di «una risposta alle molte ferite che hanno colpito il nostro paese in ambito ambientale». Anche per il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti si tratta di «un passaggio storico».

Ma la realtà è che per avere idee più precise bisognerà leggere il testo finale una volta che sarà approvato dalla Camera. Si tratta di un provvedimento legislativo che si rivolge soprattutto alla classe imprenditoriale e che dovrà fare i conti con le reti di smaltimento illegali che attraversano il nostro paese muovendo i rifiuti industriali, ovvero alcune delle merci a più alta valorizzazione di capitale. In una materia tanto delicata il rischio è che fatta la legge, come si suol dire, sarà presto trovato l’inganno.

I punti critici non mancano. Innanzitutto, c’è da approfondire la questione del cosiddetto «ravvedimento operoso», una formula gesuitica che potrebbe permettere di uscire puliti dai processi dopo aver sporcato l’ambiente. Di fatto, impegnandosi in qualche modo a ripristinare lo stato dei luoghi, sarà possibile ottenere ingenti sconti di pena. L’altro elemento da approfondire è come si collocano le responsabilità della colpa e del dolo. Spesso sullo scoglio del dolo si sono arenati gli ultimi processi su questioni ambientali e industriali.

Il problema di fondo poi, e la sentenza Eternit lo dimostra appieno, è che la giurisprudenza italiana ha tardato a realizzare che il disastro ambientale o industriale non è un episodio puntuale, che si interrompe nel momento in cui finisce la dispersione di polveri nocive o di altre sostanze pericolose. È un evento in divenire che spesso ha effetti di reato lontani nel tempo dal momento in cui è avvenuto un disastro. Per capirci, una fibra della Eternit prodotta nel 1984 può essere inalata oggi da un bambino in una palestra scolastica e questo stesso bambino potrebbe sviluppare un mesotelioma tra trent’anni. Ugualmente, i polmoni di chi vive a Taranto o a Caserta potrebbero guastarsi quando quella diossina sarà già prescritta. In effetti, nel nuovo testo la prescrizione risulta allontanarsi nel tempo.

Infine, è giusto far pagare chi inquina, ma il problema è che non si può impostare tutto solo sulle sanzioni pecuniarie. Altrimenti la salute dei lavoratori diventerà solo una voce in più da ammortizzare tra le uscite di un business plan.

L’ha detto bene Valerio Evangelisti: «Sostituire un lavoratore che muore costa sempre meno che introdurre modifiche nel processo lavorativo». Non solo chi sporca deve pagare, ma non deve più sporcare. Ovvero bisogna che gli imprenditori a priori siano obbligati a forme produttive che non siano inquinanti. Non basta limitarsi a farli pagare dopo.

A una prima analisi pertanto il ddl approvato in Senato è una buona notizia, perché mancava il trattamento di questi reati (come manca ancora una legge sul reato di tortura e in entrambi i casi non si può dire che certi fatti non sussistano).

Ma bisognerà leggersi il testo definitivo per essere sicuri che certi riflessi positivi, a cominciare dall’allungamento dei termini di prescrizione, siano davvero oro che luccica o non piuttosto specchietti per le allodole.

Mentre una misura efficace su questi reati dovrebbe contemplare la possibilità di espropriare chi inquina. Ma la proprietà è intoccabile. Su salute e ambiente, invece, se ne può discutere e eventualmente accordarsi dopo un «operoso ravvedimento».