A differenza della Gorgone Medusa decapitata da Perseo, o del cavallo alato Pegaso, nato dal sangue del mostro anguicrinito, l’asino non appartiene al mitos, cioè a quelle vicende che, come diceva Cesare Pavese «mai sono state ma sempre saranno», bensì al logos, alle storie immanenti al mondo. E dunque, come tutti gli esseri che vivono la loro esistenza in vicinanza stretta con gli uomini, l’asino assume significati simbolici contrastanti, se non opposti, a seconda delle culture e delle epoche. In Cina, ad esempio, l’asino bianco era la cavalcatura degli immortali taoisti; allo stesso tempo Nonno di Panopoli, nelle sue Dionisiache, narra come il dio fosse arrivato a Tebe dalla Beozia montando la stessa cavalcatura. Qui il significato simbolico dell’animale è chiaro: la sua forza è tale da poter portare addosso un fardello molto pesante, quello di un carico divino. Ulteriore esempio di questo asinello «teodoforico», sarà quello cristoforico di cui Gesù si servirà per entrare a Gerusalemme la domenica delle palme; san Cristoforo stesso, in una icona del Museo storico di Mosca viene rappresentato con la testa d’asino. L’asinello aveva già scaldato il Cristo neonato nella grotta di Betlemme, mentre un suo predecessore aveva trasportato Giuseppe e Maria verso l’Egitto, in fuga da Erode. Ma, in contraddizione con questa figura di «asino portatore del sacro», troviamo quella dell’asino come emissario delle potenze del male.

Nell’antico Egitto, ad esempio, l’asino fulvo è una delle entità malvage che l’anima incontra nel suo viaggio verso il mondo dei morti. Da questo la consuetudine egiziana di immolare un asino rossiccio alla maligna divinità Set; e dato che l’animale simboleggiava nel panteon egizio il fratello assassino di Osiride, questo veniva anche chiamato il «dio dalla testa d’asino». Parallelamente, in India, l’asino era la cavalcatura dei demoni funesti e della stessa Kalí nelle sue fasi di terribile ira omicida. Uscendo dalle ipostasi che vedono nell’animale alternativamente un simbolo del Bene o del Male, troviamo tutta una serie di storie che lo legano all’immagine dell’intelligenza che recalcitra di fronte alla verità; in altre parole dell’«asino chi legge». Qui la serie che alimenta questo luogo comune può essere fatta risalire a Mida. La storia ce la racconta Ovidio nelle sue Metamorfosi: un giorno il re venne chiamato dal vecchio genio del monte Tmolo ad arbitrare una contesa sonora tra il dio Pan ed Apollo. Ora, probabilmente, Mida ignorava la storia del sileno Marsia, essere dunque molto vicino al dio-capro, che un giorno sfidò il dio solare a una gara musicale. La fine di Marsia è nota: perse la tenzone e venne scorticato vivo da Apollo; una sorta di Marcantonio Bragadin ante litteram, il comandante veneziano scuoiato vivo dai carnefici del Bey turco Lala Kara Mustafa Pascià dopo la resa di Famagosta nel 1570.

Ebbene, tornando a Mida, pare che la musica del grande dio Pan lo abbia stregato più di quella di Apollo, tanto da decretarne la vittoria. In questo caso, trattandosi di un re e di un avversario divino quanto lui, il figlio di Latona e di Giove si limitò a vendicarsi dell’onta subita facendo crescere a Mida delle grandi orecchie d’asino. Naturalmente il sovrano cercava in tutti i modi di celare questa sua metamorfosi asinina, e indossava al riguardo un enorme copricapo. Il segreto, però, doveva essere svelato almeno al suo barbiere che, schiacciato dal peso del silenzio, raccontò il fatto a una pozza d’acqua. Ma sopra quella stessa pozza crebbero dei giunchi mormoranti che, così, scossi dal vento detto Austro, riferirono le parole sepolte, svergognando il re per le sue orecchie: Leni nam motus ad Austro obruta verba refert dominique coarguit aures. Da una metamorfosi a un’altra arriviamo immancabilmente all’Asino d’oro di Apuleio, in cui Lucio, il protagonista, viene punito con questa trasformazione per aver voluto assistere a riti magici proibiti ai non iniziati.

er l’autore romano del secondo secolo, probabilmente lui stesso un iniziato ai Misteri di Iside e Osiride, la storia del suo omonimo è una metafora del cammino penitenziale che l’animo umano deve compiere per arrivare a riprendere la purezza originaria, priva cioè del peso delle contaminazioni dovute alle passioni incontrollate. Ospite del ricco Milone e di sua moglie Pànfile, esperta di magia, Lucio riesce a convincere la domestica Fotide a farlo assistere di nascosto a una delle trasformazioni della sua signora. Alla vista di Pànfile che, grazie a un unguento, si muta in gufo, Lucio prega Fotide di spalmargli la pomata magica ma questa sbaglia unguento, così che Lucio diventa un asino, pur mantenendo una mente umana. Dopo svariate peripezie, infine Lucio riesce a riacquistare sembianze umane cibandosi di petali di rose durante una solenne festa in onore di Iside. In segno di riconoscenza si consacra devotamente alla dea, entrando nel ristretto numero di adepti al culto dei misteri isiaci. Per Ovidio l’asino è il simbolo della bassa vita istintuale. Egli stesso narra che a Làmpsaco i Greci immolavano un asino a Priapo. Epigono di questa linea metamorfica è, infine, Pinocchio, la cui vicenda è troppo nota per essere ricordata. Per concludere questa breve carrellata sulle opposte, ma complementari simbologie legate all’asino, citiamo il classico teso dello studioso della Tradizione René Guénon che nel suo Simboli della scienza sacra, a proposito dell’asino come protagonista delle cosiddette «Feste dei Folli» medioevali, in cui si introduceva in chiesa un asino e il clero e i fedeli agivano nelle maniere più sconvenienti, dice testualmente: «Sarebbe un errore voler opporre a questo il ruolo svolto dall’asino nella tradizione evangelica poiché, in realtà, il bue e l’asino, posti ai due lati della mangiatoia alla nascita di Cristo simboleggiano rispettivamente l’insieme delle forze benefiche e di quelle malefiche…».