Doveva diventare una «città ideale» progettata da Tadeusz Ptaszycki nel 1949 per ospitare le famiglie proletarie di una mastodontica acciaieria oggi ancora in attività a Cracovia.
L’abbondanza di acqua per mettere in moto i macchinari, una forza lavoro qualificata tutta da formare nell’accademia tecnica cracoviana e la volontà di aumentare la produzione siderurgica nazionale senza dover contare almeno per una volta sulla Slesia: erano questi i motivi che avevano convinto i burocrati del governo di Boleslaw Beirut (1947-1952) a dare il via libera alla costruzione di Nowa Huta. Dopo soltanto due anni quello che doveva essere un corpo estraneo rispetto a Cracovia capace di dare alloggio a centomila anime diventa un distretto cittadino. Con le sue volte cassettonate, cornicioni neorinascimentali e facciate neoclassicheggianti, Nowa Huta si trasforma così in un «quartiere ideale» disegnato a tavolino secondo i dettami di un realismo socialista che si nutre di citazioni architettoniche del passato. Ma è difficile pensare ad una città ideale in assenza di un edificio religioso.
Ce lo ricorda la storia dell’arte con due vedute pittoriche del Quattrocento conservate a Urbino e Baltimora e le loro chiese incastonate tra palazzi laici. Negli anni Cinquanta le uniche parrocchie cattoliche di Nowa Huta erano dislocate «fuori le mura». Sul finire del decennio gli abitanti del quartiere formano un comitato per promuovere la costruzione di una chiesa e decidono di piantare una croce di legno «dentro le mura» in segno di protesta. Il nuovo segretario del Partito Comunista polacco Wladyslaw Gomulka non mantiene la promessa di costruirne una. Karol Wojtyla, allora vescovo di Cracovia, si schiera a favore dei manifestanti dichiarando che la rimozione della croce costituirebbe una violazione del diritto canonico. Le proteste si intensificano ma la mattina del 27 aprile del 1960 la polizia e il reparto paramilitare degli Zomo soffocano la protesta nel sangue.
Ancora oggi la verità storica sulla «difesa della croce di Nowa Huta» resta tutta da appurare. Gli abitanti del quartiere acquistano una nuova consapevolezza intrisa di fede e coscienza di classe che li porterà a ribellarsi in altre occasioni prima della caduta del Muro. Ce lo racconta la mostra Huta è insorta. Sciopero dell’acciaieria Lenin tra il 26 aprile e il 5 maggio 1988, organizzata dal Museo della Repubblica Popolare della Polonia (PRL) ubicato nello stesso quartiere all’interno dei locali dell’ex-cinema Swiatowid. L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 13 gennaio 2019.
PARADOSSI
«È un paradosso che proprio la città ideale socialista sarebbe poi diventata uno dei bastioni dell’opposizione negli anni Ottanta», spiega la curatrice Agata Klimek che ha puntato molto sulla documentazione fotografica per l’allestimento. Il documentario che accompagna Huta è insorta raccoglie invece le testimonianze preziose di alcuni dei protagonisti di una pagina storica della Polonia ancora poco conosciuta in patria e all’estero. E un decennio in cui la società polacca deve fare subito i propri conti con la legge marziale imposta dal generale Wojciech Jaruzelski. L’operazione di «normalizacja» del paese voluta dalla giunta militare agisce soltanto in superficie. Si procede per aspera ad astra: difficile immaginare una transizione alla democrazia senza gli ultimi scioperi del decennio che avrebbero dato il colpo di grazia al regime.
Nel 1987 il governo indice un referendum in cui la maggioranza dei polacchi esprime il proprio «nie» ad un aumento generalizzato dei prezzi. Le autorità decidono comunque di andare avanti con le riforme. I salari aumentano ma cresce anche l’inflazione. La mobilitazione nazionale dell’Ottantotto nasce da un coagulo di forze eterogenee che vede in prima fila gli ex-militanti di Solidarnosc usciti dal carcere, alcuni dissidenti formalmente non legati al primo sindacato libero del blocco comunista e le nuove leve rappresentate dai «mlodzi», i giovani operai che finiscono per aderire in modo spontaneo alle agitazioni.
Il 25 aprile il personale dei trasporti organizza una serrata nelle città di Bydgoszcz e Inowroclaw nel nord del paese. Il governo lascia correre, e questa volta, forse anche più del solito. Gli episodi vengono infatti ripresi da un servizio della televisione statale alimentando la speranza del paese in un cambiamento. Allora le notizie di scioperi erano riportate soltanto da pubblicazioni clandestine e dai notiziari della redazione polacca di Radio Free Europe, un’emittente finanziata per decenni dal Congresso americano in funzione antisovietica. Alle 9 di mattina del giorno successivo, Andrzej Szewczuwianiec, uno dei leader della protesta, chiede ad un operaio addetto al laminatoio di Nowa Huta di premere il pulsante rosso che interrompe il lavoro delle macchine.
VARIABILE IMPAZZITA
È così che inizia l’ultima ribellione del «quartiere ideale» di Cracovia prima degli storici accordi della Tavola Rotonda nella primavera successiva che porteranno alla legalizzazione dei sindacati indipendenti, al bicameralismo e alla reintroduzione della carica di presidente della repubblica che era stata abolita sotto Bierut. L’iniziativa del reparto laminatoio è stata la variabile impazzita che ha accelerato il processo di mobilitazione del quartiere. «I nostri colleghi ci hanno spiazzato anche perché avevamo in programma un’agitazione ad agosto», racconta Maciej Mach, allora membro del comitato di sciopero.
Il gruppo allarga subito i propri postulati rivendicando un aumento dei salari anche per insegnanti, pensionati e personale medico in tutto il paese. Allo stesso tempo i protagonisti della mobilitazione evitano qualunque riferimento alla «S» di Solidarnosc, allora ancora fuori legge. La direzione della fabbrica si affretta a dichiarare l’occupazione illegale. La notte tra il 4 ed il 5 maggio le manganellate degli Zomo si concludono con lo sgombero dell’edificio e l’arresto di dieci membri del comitato. Ma il braccio di ferro con gli scioperanti è tutt’altro che finito. «Sapevamo che lo sciopero sarebbe continuato», confessa Wladyslaw Kielan un altro membro del comitato.
La mobilitazione prende un’altra forma e gli operai di Nowa Huta decidono di non andare a lavoro. Una strategia che alla lunga si rivelerà vincente. A nulla valgono i tentativi di affidare la produzione alla manodopera dell’acciaieria di Katowice che manca delle conoscenze specifiche per rimettere in moto le macchine.
Due settimane dopo la direzione della fabbrica è costretta a capitolare. Il comitato dello sciopero ottiene la scarcerazione degli arrestati e la reintegrazione di tutti i suoi protagonisti sul posto di lavoro. La rivolta del quartiere ideale ma non troppo occupa un posto speciale nella costellazione delle proteste Ottantottine che riprenderanno con vigore nel mese di agosto. «Quello di Nowa Huta è stato il più grande sciopero del paese in seguito all’introduzione della legge marziale», almeno a detta di Edward Nowak esponente di spicco di Solidarnosc. Con l’arrivo dell’estate la Polonia avrà smesso di avere paura. Wieslaw Wojtas leader degli scioperi estivi in un’altra acciaieria nel sud-est del paese a Stalowa Wola chiederà la legalizzazione della «S». Sono passati quasi trent’anni dalla rivolta del laminatoio ma l’indomita Nowa Huta dimostra di sapersi raccontare come meglio può con la memoria dei fatti.