Il centro sinistra guadagna quotazioni e lo fa soprattutto nell’area politica e intellettuale della sinistra. Alla base c’è la preoccupazione di un ulteriore slittamento della politica italiana verso destra, sull’onda di populismi e neofascismi che avanzano e che trovano in Trump il simbolo dei rischi che corriamo. Quindi le diverse posizioni espresse non si possono derubricare nel capitolo nostalgia. Tutte, infatti, fanno precedere l’aggettivo “nuovo” al centro sinistra che invocano e per rimarcare la novità rispetto all’oggi avanzano precise condizioni: si deve qualificare sui temi della solidarietà e dell’accoglienza (Boldrini), deve essere «alternativo non solo a Renzi, ma anche al renzismo» (Scotto) e, detto ancora più chiaramente, «Renzi non può essere un alleato, ma un sicuro avversario» e «il Pd deve liquidare la sua strategia destrorsa e populista del suo attuale leader» (Asor Rosa).

Quest’ultimo già a dicembre aveva dato dignità strategica alla proposta e adesso specifica che essa «deve riguardare prospettive, programmi, radicamento sociale, uomini…».

Avendo già scritto su questo giornale che il rilancio della sinistra impone una ridefinizione dei programmi (in primis redistribuzione di redditi e lavoro per combattere le disuguaglianze) e che a essi occorre dare credibilità proponendosi di governare la trasformazione e ricercando su questa base le alleanze necessarie, l’idea di un nuovo centro sinistra, confesso, esercita su di me una certa attrazione. E anche un fascino quando, nelle conclusioni Asor Rosa parla di una sinistra che ritrova il gusto dell’illusione ipotizzando anche una possibile sinistra unita come condizione per favorire una più efficace strategia.

Come collocare un bel sogno – nel senso nobile del termine – come questo nello squallore della politica quotidiana, in quella che Vendola ha denunciato come la dittatura del presente, tutta concentrata su quale sia la legge elettorale migliore per impedire la vittoria del terzo incomodo e consentirla al partito dominante? Sottopongo pochi punti.

Primo. Facendo una lettura della fase che stiamo vivendo e naturalmente cominciando dagli Usa. Lì non ha vinto Trump, ma ha perso Clinton perché non ha saputo fare la svolta che la situazione richiedeva: di fronte all’esaurimento della fase espansiva della globalizzazione e alle contraddizioni che ne discendono o si trova il coraggio della svolta egualitarista e solidaristica correggendo le disuguaglianze che la globalizzazione ha creato, oppure si perdono gli strati sociali più colpiti e si spiana la strada al populismo e al neoprotezionismo economico e demografico. Così è stato lì, così è in Europa, così comincia a essere in Italia. Le tendenze globali non sono, quindi, favorevoli a politiche redistributive e progressiste. Quindi, per tornare a noi, le condizioni oggettive non sono certo favorevoli alle politiche che un nuovo centro sinistra dovrebbe portare avanti.

Secondo. Ci sono condizioni soggettive che possono consentire di andare in controtendenza? In molti paesi, dagli Usa alla Gran Bretagna ai paesi del Mediterraneo, cominciano a manifestarsi. Ma l’Italia è il paese in cui la sinistra è messa peggio e bisogna cercarla col lanternino nei meandri dell’astensione, nel M5S, nel Pd senza S e dentro i pochi fermenti in corso che vivono, però, difficoltà prima di nascere. E forse Asor Rosa ha ragione quando insinua che l’accelerazione delle elezioni che Renzi persegue mira anche a bloccare l’emersione di una sinistra seria, cioè orientata a guardare al centro, ma che sia sinistra-sinistra.

Terzo. Qui è allora il punto dirimente. Può nascere, e come, questa sinistra? E con quale centro potrà allearsi? E come può avvenire tutto questo in una fase di carenza di movimenti sociali nelle realtà lavorative e locali – che raccolgano la spinta del No al referendum – dai quali possano emergere anche una nuova politica e nuove classi dirigenti? Ci sono certo fibrillazioni in atto, ma ancora non si traducono in scelte politiche esplicite e non è detto, conoscendo la storia e i suoi personaggi, che possano rientrare e essere riassorbiti seminando altre delusioni. Quindi che ciascuno faccia le scelte coraggiose che si impongono a cominciare dal campo in cui opera.

Quarto. In questo contesto penso che l’unico movimento, partito con il coraggio dello scioglimento di Sel per dare vita a un soggetto più ampio e aperto, non debba essere ostacolato e anzi debba essere aiutato a decollare. Senza illusioni e senza caricarlo di eccessive aspettative, ma quantomeno per non creare un’altra frattura tra speranze alimentate e risultati deludenti. Solo per creare un piccolo punto fermo nel vuoto assoluto della sinistra. Questa è una grande responsabilità per il partito che nasce. Che deve certo rifuggire dal rischio di chiudersi in un recinto minoritario e che appena nato deve sapersi pensare come parte di un processo più largo (Montanari). Ma l’alternativa, per non correre questo rischio, non può essere un’operazione di puro ceto politico che si mette in attesa di quello che accade bloccando quel poco che si muove. Al contrario serve una operazione di accelerazione delle dinamiche e una ristrutturazione delle forze politiche. Anche perché una sinistra «seria» oggi deve ricostruire lo stesso vocabolario a cominciare dalla stessa parola sinistra che certamente parla a tante persone, ma non a tante altre, a tanti giovani e ai loro bisogni. Quindi per il momento cominciamo da qui.