Meglio non credere sempre a tutto quello che ci raccontano dalla Rete. Ad esempio il «caso« Camille Bertault, la nuova voce del jazz dalla Francia recensita e segnalata (giustamente) come un nuovo talento. L’ultimo fatto è vero: Bertault ne ha da vendere, di talento. Però non bisogna bersi la storiella che lei sarebbe una perfetta sconosciuta, e un prodigio naturale. Questo vale per chi fa gossip. I fatti veri ci dicono che il mito del «musicus naturalis», di colui o colei che senza sforzo attinge di colpo vette di prodigioso virtuosismo sono appunto tali: miti. Nessuno mette a caso un testo in francese pieno di rime, assonanze e giochi di parole su Giant Steps di John Coltrane, un brano costruito per vorticose alternanze di terze maggiori che per anni è stato considerato una vetta ben impervia per gli scalatori sonori. Nessuno si improvvisa così, e con un video su Youtube sancisce la generale «scoperta». Youtube aiuta, ma non basta. Bisogna essere bravi e preparati. E allora facciamo caso al fatto che Bertault a quattro anni suonava il pianoforte, che un conservatorio l’ha visto, che la sua deliziosa espressività è condita da rigorosi studi teatrali, e che il padre, ingegnere del suono e musicista, un bel po’ di musica di qualità gliela ha fatta conoscere. Lei ora vola sulle sue ali, ed è al secondo disco: che si intitola «passi da gigante», guarda caso, e riporta proprio la versione di Giant Steps che le ha spalancato un mondo. Però dentro ci trovate anche quattro minuti che riassumono sedici temi di Ravel, un delizioso scherzo voce- pianoforte sulle variazioni Goldberg di Bach, un magnifico recupero dal canzoniere intenso di Bill Evans, uno da Wayne Shorter, uno da Michel Legrand, perfino una briciola di Serge Gainsbourg scritta per la sua François Hardy. Quando scrive lei, sono deliziosi e maliziosi temi intrisi di funk leggero fatti apposta per scatenare uno swing irresistibile. È nata una stella? Sì, ma non (solo) grazie a YouTube.