«Cosa penso del ‘price tag’ contro le chiese e le istituzioni cristiane?». Il frate francescano Ibrahim Faltas ci risponde senza esitazioni a proposito del «prezzo da pagare», le vendette che i coloni e gli estremisti di destra israeliani attuano in risposta a decisioni «sgradite» prese dal governo Netanyahu nei Territori occupati o ad azioni violente di palestinesi. «Penso che il ‘price tag’ prenda di mira tutti i palestinesi, cristiani e musulmani, senza distinzioni». Faltas ricorda che se chiese e monasteri hanno subito attacchi “leggeri”, come slogan offensivi e anticristiani lasciati su muri e porte, in Cisgiordania i villaggi palestinesi musulmani a ridosso delle colonie israeliane subiscono vendette più violente e pericolose. Esercito e polizia di Israele periodicamente annunciano l’avvio di indagini per «individuare i responsabili di queste azioni» ma in concreto accade pochissimo. Qualche ragazzino arrestato e poco più. Con un movimento dei coloni forte, sostenuto ampiamente alla Knesset e dal governo Netanyahu, è arduo persino immaginare azioni concrete volte a mettere fine a queste vendette dalle conseguenze imprevedibili.
«Saluti da Eden» è la scritta spruzzata su una delle pareti della casa del villaggio palestinese di Sinjil, a una quindicina di chilometri di Ramallah, data alle fiamme a metà mese da «sconosciuti». Cinque persone che erano in casa sono rimaste leggermente ferite e solo un miracolo ha evitato il peggio. Non salutavano dal paradiso gli aggressori, ma portavano i “saluti” del soldato 19enne Eden Attias, accoltellato a morte qualche giorno prima da un adolescente palestinese. Nessun collegamento con Sinjil – l’accoltellatore è di Jenin – ma i miliziani del “price tag” la fanno pagare comunque «qualche palestinese». Khaled Dar Khaled , il proprietario della casa incendiata racconta che sono stati quattro coloni ad appiccare il fuoco. «E’ stato terribile, il fumo ha invaso la casa, si soffocava» dice. Lui è riuscito fuggire sul tetto della casa. «Preso dal panico ho dimenticato una delle mie figlie in casa, così sono rientrato per portarla in salvo. Qualche secondo in più e sarebbe finita molto male, aveva inalato tanto fumo». «Erano le due di notte – aggiunge la moglie, Ruada Bar Khalil – stavo preparando il latte per il mio bimbo di un anno e mezzo quando ho visto un’automobile ferma davanti casa. Quattro persone sono scese del veicolo e hanno rotto le finestre con le pietre, poi hanno cosparso di benzina la casa e hanno dato fuoco». Tutto questo è avvenuto a 200 metri dalla strada principale e a breve distanza da un campo militare israeliano. «A causa della posizione di casa siamo presi di mira dai coloni ma nessuno fa niente per proteggerci. I soldati sanno bene chi sono i responsabili ma non muovono un dito per fermare quella gente», protesta Khaled. «Questa volta ci siamo salvati e la prossima?». Quello di Sinjil è solo uno dei tanti «price tag». A Burqa, sempre nei pressi di Ramallah, nei giorni scorsi sono state date alle fiamme diverse automobili e sulle pareti esterne della moschea i responsabili hanno scritto: «La redenzione di Sion piace a Tomer Hazan», in riferimento a un soldato israeliano rapito e ucciso a Qalqiliya da un palestinese. La vendetta per quell’omicidio è soltanto l’ultimo attacco subito dagli abitanti di Burqa che pagano il prezzo, è proprio caso di dirlo, di essere troppo vicini ad alcune colonie.
Esiste una doppia legge nei Territori occupati. Quella civile israeliana alla quale sono soggetti i coloni, ampiamente garantista, e quella militare che invece viene attuata contro i palestinesi sotto occupazione che, al contrario, è fortemente restrittiva e che tratta i minori in modo non molto diverso dagli adulti. Un ragazzo palestinese che lancia un sasso contro un’automobile israeliana può essere accusato di tentato omicidio. Un colono adolescente che fa altrettanto verso i palestinesi viene giudicato con molta clemenza. La polizia israeliana ha comunicato di aver arrestato negli ultimi mesi 14 giovani coloni sospetti di «price tag» ma non si è saputo altro sulle indagini. E da parte del governo, particolarmente vicino al movimento dei coloni, arrivano solo vaghe e occasionali condanne delle violenze contro i civili palestinesi. Nel frattempo prosegue senza sosta l’espansione delle colonie. Altre 829 nuovi alloggi saranno costruiti a nord di Gerusalemme, negli insediamenti di Givat Zeev, Nofei Prat, Shilo, Givat Salit e Nokdim.
Una nuova colata di cemento che giunge a due settimane dall’annuncio del più grande progetto edilizio mai preparato sino ad oggi in Cisgiordania: circa 20.000 unità abitative per coloni. Netanyahu è stato poi costretto ad annullare l’ordine per le pressioni internazionali, soprattutto di Washington e Parigi. E’ una umiliazione continua per l’Autorità nazionale palestinese che sta perdendo la faccia di fronte alla popolazione perchè “costretta” ad ingoiare questa massiccia espansione coloniale. L’abbandono dei negoziati farebbe ricadere su di essa la responsabilità fallimento delle trattative. Una spirale che si sta rivelando una catastrofe. E da qui ad aprile, scadenza dei 9 mesi di colloqui bilaterali concordati con Israele, la colata di cemento non potrà che continuare.