La liberazione avvenuta a inizio dicembre di sedici soldati tenuti ostaggio per oltre un anno dai qaedisti di al Nusra, in cambio del rilascio di detenuti islamisti, tra cui l’ex moglie e una figlia del “califfo” Abu Bakr al Baghdadi, il capo dello Stato Islamico, non è stata l’unica buona notizia che nelle ultime settimane ha rallegrato la popolazione di un Libano fragile e ancora segnato dall’attentato kamikaze di un mese fa a Beirut in cui sono rimasti uccisi oltre 40 civili.

Dopo un anno e mezzo di vuoto istituzionale – conseguenza dello scontro che va avanti da oltre dieci anni tra il “Fronte 14 Marzo”, legato a Stati uniti e Arabia saudita, e il “Fronte 8 marzo”, guidato dagli sciiti di Hezbollah, e dall’ex generale cristiano Michel Aoun – la poltrona di capo dello Stato potrebbe tornare occupata in questi giorni grazie a un accordo molto complesso tra i principali leader politico-confessionali del Paese e dei loro sponsor regionali e internazionali. Tuttavia è una buona notizia solo in apparenza perché la presunta intesa intorno al nome del cristiano Suleiman Franjyeh rischia di far precipitare il Libano in una nuova profonda crisi politica.

Per convenzione, in Libano il capo dello Stato deve essere cristiano maronita, il premier un musulmano sunnita e il presidente del Parlamento un musulmano sciita. Dopo 33 votazioni in Parlamento senza alcun risultato, l’ex primo ministro sunnita Saad Hariri, figlio ed erede politico dell’ex premier Rafik Hariri morto in un attentato a Beirut nel 2005, da tempo all’estero per “ragioni di sicurezza”, ha proposto il nome di Franjyeh, amico da sempre del presidente siriano Bashar Assad.

Si tratta di una iniziativa clamorosa perché Hariri è un nemico accanito di Assad e mantiene rapporti molto tesi con Hezbollah che appoggia, con suoi combattenti, l’esercito governativo siriano impegnato contro jihadisti e islamisti sunniti.

Il fatto che l’accordo per la nomina del nuovo presidente preveda che Hariri torni ad occupare la poltrona di primo ministro, non basta agli osservatori per avvalorare la sincera intenzione del leader sunnita di contribuire alla soluzione della lunga crisi istituzionale. Al contrario sono molti a pensare che Saad Hariri, con il via libera degli alleati sauditi, stia cercando di spaccare il blocco avversario rimasto sino ad oggi integro a differenza del “Fronte 14 marzo”, indebolito dopo l’uscita dei drusi di Walid Jumblatt e con profonde divisioni interne. Proponendo Franjyeh, esponente di secondo piano dello schieramento avversario, Hariri tenta di spostare i pezzi fermi da tempo sullo scacchiere politico libanese e, quindi, di spezzare l’alleanza tra Hezbollah e Michel Aoun, leader dalla “Corrente dei liberi patrioti” che per due anni è stato il candidato alla presidenza del “Fronte 8 marzo”.

Franjyeh ha accolto con entusiasmo la proposta di Hariri, anche perché la sua elezione a capo dello Stato darebbe lustro ad una carriera politica incolore e relegata a ruoli di scarso rilievo all’interno del blocco pro-Assad.
Aoun al contrario si è sentito tradito, ha chiesto spiegazioni al nominato da Hariri ed è stato molto chiaro con Hezbollah sulla “impossibilità” che Franjyeh diventi presidente. Il recente incontro tra Franjyeh e Aoun si è risolto con un nulla di fatto con il primo che, ingolosito dall’incarico prestigioso, sembra non comprendere che Hariri prova a mettere fine all’alleanza tra la maggioranza dei libanesi cristiani e gli sciiti rappresentati da Hezbollah e, più in generale, a ridurre il peso di Damasco e dell’Iran nella politica libanese. Una mossa abile. Non sorprende che il nome di Franjyeh goda dell’appoggio di Stati Uniti e Francia, oltre che dell’Arabia saudita che ha addirittura “benedetto” la soluzione proposta da Hariri.

La leadership di Hezbollah è incerta. Da un lato, per allentare le tensioni con il “Fronte 14 marzo”, vorrebbe la fine della crisi istituzionale, dall’altro sa bene che la scelta di Franjyeh spingerà Aoun a lasciare il “Fronte 8 marzo” con effetti politici devastanti. Il movimento sciita con ogni probabilità rifiuterà la candidatura proposta da Hariri e insisterà per la nomina di Aoun in modo da salvaguardare un’alleanza strategica che sino ad oggi ha evitato al Libano di precipitare in una nuova guerra civile e di adottare una posizione ostile verso la Siria di Assad e verso l’Iran.

Allo stesso tempo Hezbollah sa che potrebbe ritrovarsi spiazzato se il “Fronte 14 Marzo” andrà avanti ed eleggerà presidente Franjyeh. Sullo sfondo di questa nuova lacerante lotta politica interna, resta un Libano che accoglie 1,2 milioni di profughi siriani, povero di risorse e con una guerra che da quattro anni bussa continuamente alla sua porta orientale.