L’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica costituisce un duplice segnale di riscatto. È un segnale di riscatto per la Sicilia e per il Mezzogiorno nel suo insieme. Dopo che negli anni Ottanta il Mezzogiorno aveva ricoperto, in misura anomala, un ruolo preminente nella guida del paese, dagli anni Novanta è iniziata una severissima dieta, del tutto coerente con le politiche di abbandono condotte dai governi di destra e che le parentesi di centrosinistra hanno alleviato ben poco. La dieta è proseguita dopo il collasso del berlusconismo, coi governi Monti, Renzi e Letta. Di meridionali al vertice se ne sono visti col lumicino e peraltro, tolta la degnissima figura del presidente Grasso, neanche di gran levatura.

La Sicilia, e il Mezzogiorno, non sono poi così diversi dal resto del paese. Vivono da sempre una condizione di difficoltà economica, con gravi riflessi sociali, ma sul piano della vita pubblica, le cronache sono eloquenti, non sono né meglio, né peggio. C’è la mafia, dirà qualcuno. Ma è vero anche che mafia e criminalità organizzata sono problemi nazionali tanto quanto locali e che per molto tempo solide complicità nazionali hanno impedito di contrastarle con la necessaria determinazione e efficacia. Si rileggano certe pagine di Franchetti. La mafia esiste perché lo Stato (nazionale) non ha avuto la forza di combatterla ed è sceso a patti.
Dunque, il Mezzogiorno e la Sicilia hanno titolo per essere rappresentati alla guida del paese come ogni altra sua parte. L’elezione di Mattarella non ristabilisce l’equilibrio, ma è un segno, cui si spera ne seguano altri, giacché il Mezzogiorno non ha bisogno solo di essere rappresentato, ma anche di essere oggetto di politiche adeguatamente mirate, che curino la sua terribile disperazione e assecondino la volontà di ricatto di tanti suoi abitanti.

Mattarella ha pure il pregio di essere un politico siciliano anomalo. È altra cosa dei vari Alfano, Micciché, Lombardo – ma anche dalla media dei politici di centrosinistra, tra cui Crocetta – che sono ascesi alla ribalta. Sulla sua riservatezza si è già detto troppo. C’è da sottolineare invece che Mattarella è stato un politico di partito nel senso più genuino del termine. Non ha fatto politica capeggiando un seguito personale, come ce ne sono tanti nel Mezzogiorno e come ce n’erano a iosa specie nella Democrazia Cristiana. Ha fatto politica condividendo un disegno cattolico-democratico, che era già stato di suo fratello, e mai arrabbattandosi tra lotte di corrente e spartizioni clientelari. Tanto poco si arrabattava che nel 2001 dovettero candidarlo in Trentino perché fosse eletto. Politici di questo genere ne servirebbero molti al sud come al nord. Purtroppo quel che ancor oggi prevale è tutt’altro modo di far politica: la si fa ormai per fare affari, occupando manu militari le ribalte televisive o, da ultimo, mitragliando idiozie sui social networks.

Il secondo segnale di riscatto offerto dall’elezione di Mattarella sta nella opportunità che offre di riabilitare nella pubblica memoria quella che impropriamente si chiama la prima Repubblica. In questo è molto diverso anche da Napolitano, che in tanti modi l’ha sconfessata. La prima Repubblica non è il paradiso perduto. Era un assetto politico sovraccarico di vizi, responsabile, in parte, dello stato successivo in cui il paese si è trovato. Molto ingiustamente, tuttavia, è stata colpita da una spietata damnatio memorie. In realtà, come aveva difetti, così aveva pregi. La sua storia è stata lunga e non è stata per nulla la prosecuzione, come qualcuno ha sostenuto, della partitocrazia fascista. La lotta politica di quegli anni ha scritto la costituzione, ha instaurato la democrazia, ha promosso una lunga stagione di sviluppo, ha istituito ampi diritti sociali e ha concesso piena dignità al mondo del lavoro. Il confronto con la maleolente sentina dell’Italia berlusconiana non regge.

Il confronto non regge se guardiamo alla stoffa del personale politico, e a ciò che ha fatto. Quel po’ di personale politico decente che è circolato in questi ultimi anni è arrivato da lì. L’elezione di Mattarella, con la sua storia e il suo stile, offre l’occasione non per ripetere il passato, che non si ripete, ma per trattarlo con più generosità e magari per ripensare taluni progetti di riforma istituzionale e talune innovazioni di stile politico che, a dispetto dei fatui corifei della stabilità e dell’efficienza, rischiano solo a esasperare la malapolitica dell’ultimo ventennio.

È molto difficile che Renzi avesse in mente simili cose quando s’è risolto a fare il nome di Mattarella. Sarà difficile anche sapere se questa fosse la sua opzione preferita, benché sia riuscito a farne un successo personale. Ma ciò è secondario. Si può invece con più sicurezza supporre che quel po’ più di fermezza che la sinistra del Pd ha alfine dimostrato ha impedito che si confermasse ulteriormente il torbido patto del Nazareno. Vedremo se il patto è ora definitivamente defunto, o se è tanto solido, e sciagurato, da sopportare qualche strappo. Cosa farà la sinistra dentro e fuori il Pd non è irrilevante.