Il tweet di Fabrizio Barca seguito all’assalto al palazzo del Congresso americano ha scatenato una ridda di critiche volte a far intendere che l’ex Ministro volesse giustificare gli assalitori. Questo il tweet: «Scene che ci fanno riflettere su estrema fragilità democrazia Usa. Ma, attenzione, è un segnale per tutte le democrazie. A quale risentimento arriva un popolo colpito da enormi disuguaglianze, che non crede più che esista un’alternativa».

Il fuoco di fila ha visto allineati esponenti di Italia Viva, del Pd e del centro-destra, con commenti e giudizi denigratori che hanno coinvolto anche Mario Ricciardi, Direttore della rivista Il Mulino. Verrebbe da chiedersi il perché di tanto accanimento, ma la pochezza degli argomenti sollevati non merita davvero nessun commento. Più meritevoli di attenzione, invece, sono state le critiche alla tesi centrale del messaggio di Barca: cioè che ci sia un legame tra le diseguaglianze e gli eventi di Capitol Hill.

Il botta e risposta che ne è seguito, e l’intervista a Barca su La Stampa del 9 gennaio, permettono di definire in modo più preciso la posta in gioco. Come messo in evidenza da molta ricerca scientifica, il consenso a Trump si è concentrato nei luoghi che hanno conosciuto forme di declino economico-sociale, luoghi prima forti diventati via via deboli. Perdita di posti di lavoro, chiusura dei servizi fondamentali, de-popolamento: luoghi e classi sociali non povere (certamente non i più poveri) che hanno però conosciuto processi di impoverimento materiale, chiusura delle attività produttive, perdita di status e diseguaglianze di riconoscimento.

Questo mix è stato il brodo di coltura del suprematismo bianco, nativismo identitario, disprezzo per la classe dirigente, rifiuto della diversità e ricerca dell’autorità che “tutto risolve”. Un elettorato, quello di Trump, fortemente radicalizzato e che in percentuali preoccupanti approva quanto avvenuto il 6 dicembre: il 79% degli elettori democratici e il 62% degli elettori indipendenti hanno disapprovato la gestione delle rivolte da parte di Trump, mentre il 64% degli elettori repubblicani la approva, rivelano i risultati di una survey telefonica a un campione rappresentativo di cittadini americani registrati alle liste elettorali.

Sull’Huffington Post, Alec Ross, già consigliere di Hilary Clinton, scrive: «Credo che degli oltre 74 milioni di americani che hanno votato per Trump, circa 20 milioni siano stati radicalizzati. Non parliamo di una frangia marginale, ma di un gran numero di persone (…). L’epilogo di ieri è stato il risultato perfettamente logico di tutto questo». Tanto logico che Arieh Kovler il 21 dicembre 2020 l’aveva previsto in un post dal suo profilo Twitter: il 6 Gennaio sostenitori di Trump armati e organizzati invaderanno Washington e ci saranno dei morti negli scontri, scriveva con impressionante preveggenza.

Dal canto suo Trump, nel discorso ora definito «dell’incitamento all’insurrezione», aveva acceso la miccia preparata dai messaggi via social media a opera di gruppi organizzati della destra radicale americana. Quale è il filo rosso che unisce questi fatti ed eventi? E perché, tornando al tweet di Barca, le diseguaglianze sono importanti? Tra i partecipanti agli scontri di Capitol Hill erano certamente presenti persone di diversa estrazione sociale, non solo classe operaia o ceto medio «impoverito» e men che meno ispanici, afroamericani e poveri. Ma non è questo il punto.

Le frange più estreme e «visibili» della folla di Capitol Hill erano soprattutto gruppi organizzati: potenziali quadri intermedi del nuovo partito di Trump, «ufficiali di collegamento» tra il tycoon americano e i milioni di elettori radicalizzati. A supportare l’organizzazione che ha messo in piedi la manifestazione è stata la fondazione «The Rule of Law Defense Fund», finanziata anche dai fratelli Koch e da Walmart. Non quindi folklore e neppure terrorismo separato dal corpo sano del Paese, ma gruppi organizzati e finanziati che si accreditano come nuova classe dirigente trumpiana.

Qui la posta in gioco: il Presidente uscente, con gli eventi di Capitol Hill, ha anzitutto messo in scena la sua capacità di chiamare a raccolta non solo i votanti, ma anche gli intermediari. Un mix tipico dove avanguardie attive hanno provenienze sociali diverse dalla «base» e sono spesso mosse da meccanismi ideologici e di potere.

Questi gruppi si alimentano delle conseguenze generate dalle diseguaglianze che, per questo, sono uno degli elementi cruciali alla base degli eventi del 6 dicembre. Non vederlo sarebbe un tragico errore politico. La democrazia va coltivata: troppe diseguaglianze la inaridiscono, radicalizzano l’elettorato e creando finestre di opportunità per svolte autoritarie. Negli Stati Uniti come in Italia.

Twitter dell’autore: @FilBarbera