Malala Yousafzai e Kailash Satyarthi sono i due premi Nobel per la Pace 2014. L’assegnazione del doppio riconoscimento, è carica di sottotesti e doppi sensi politici, chiamando direttamente in causa le due potenze nucleari di India e Pakistan proprio mentre lungo il confine militarizzato del Kashmir gli eserciti di New Delhi e Islamabad – da giorni – si scambiano colpi di mortaio. Una «diplomazia esplosiva» che continua, sostanzialmente ininterrotta e fallimentare, da oltre mezzo secolo.

Divisi in quasi tutto, i due paesi vengono legati artificialmente nella lotta per i diritti dell’infanzia, il diritto all’educazione, il diritto a pretendere un’esistenza libera dall’oppressione dell’estremismo religioso e dallo sfruttamento. Malala Yousafzai, 17 anni, pakistana della valle di Swat, territorio nel nord-ovest del paese dove il discutibile braccio della legge di Islamabad nulla ha potuto – o voluto – contro l’avanzata militare e culturale dell’estremismo islamico. Tra Taliban pakistani e cellule del terrorismo autoctono, la progressiva islamizzazione del territorio ha rosicchiato gli spazi di libertà nel paese, anche e soprattutto nel settore dell’educazione.

Il Pakistan destina ogni anno un misero 1,5 per cento del Pil all’istruzione nazionale (laica), una miseria che ha condannato le strutture scolastiche al rango di ruderi inagibili. Nel vuoto istituzionale, i fondi provenienti in gran parte dal medioriente e l’attivismo di gruppi terroristici come Jawad-Ud-Dawa hanno potuto sostituire all’istruzione laica una rete di madrasa, individuando nelle scuole non coraniche degli obiettivi sensibili da spazzare via.In questo senso le scuole aperte e gestite dal padre di Malala, Ziauddin, agli inizi degli anni Duemila rappresentavano dei presidi di resistenza contro l’estremismo islamico. E Malala, non ostacolata dalla propria famiglia, sarebbe diventata la testimone vivente dell’opposizione al terrore dei Taliban pakistani. Nel 2008 apre un blog anonimo ospitato da Bbc, raccontando la vita di tutti i giorni di una ragazza alle prese con la scuola nella valle di Swat. L’anonimato della ragazza dura poco e l’11 ottobre del 2012 i sicari dei Taliban attentano alla sua vita. Malala, ferita alla testa e in coma, viene trasferita al Queen Elizabeth Hospital di Birmingham, Regno Unito, dove si ristabilirà completamente.

L’indignazione internazionale per la vigliaccheria del braccio armato Taliban rilancerà la sua storia a livello mondiale, complice l’atto di coraggio della stessa Malala che, finita la riabilitazione, ha ricominciato la sua opera di attivismo, stavolta raggiungendo platee ben diverse dal Press Club di Peshawar dove il padre l’aveva portata nel 2008. I potenti della Terra fanno la fila per farsi immortalare con l’eroina della valle di Swat. Obama, Nazioni Unite, Harvard; la battaglia di Malala varca i confini del Pakistan e le vale, nel giro di due anni, una giornata ad hoc sancita dall’Onu – il Malala Day, 12 luglio 2013, col primo discorso della 16enne Yousafzai all’Assemblea delle Nazioni Unite – e un premio di Amnesty International. A due anni di distanza dall’attentato, Malala sarebbe entrata nella storia: prima e unica pakistana – per ora – a vincere il Nobel per la Pace.

Ben diversa la vicenda di Kailash Satyarthi, 60 anni, ex ingegnere del Madhya Pradesh e fondatore, nel 1980, dell’ong Bachpan Bachao Andolan (Movimento per la Salvezza della Gioventù, in hindi), attiva nella lotta contro lo sfruttamento minorile nel paese. Il problema del lavoro minorile, in India, ha dimensioni mastodontiche. Secondo i dati di Bba, la stima dei lavoratori minorenni nel paese si aggira intorno ai 50 milioni. Almeno 10 milioni, secondo Satyarthi, sarebbero figli di lavoratori sfruttati, una moderna servitù della gleba che genererebbe qualcosa come 15 miliardi di euro all’anno. In nero.

L’attività di Bba è molto nota nel paese e si sviluppa su uno spettro di iniziative che vanno dalla sensibilizzazione alle campagne mediatiche, passando per il lavoro nelle scuole e le collaborazioni coi governi locali e federale. Ma la caratteristica peculiare di Bba è una certa efficacia nelle operazioni di «child rescue», indagini portate avanti dagli stessi attivisti di Bba, appostamenti e blitz coordinati con le forze dell’ordine per salvare minori in stato di schiavitù, costretti a lavorare, prostituirsi, chiedere l’elemosina.

Raggiunto immediatamente dalle telecamere delle televisioni nazionali nei suoi uffici di New Delhi, Satyarthi ha dichiarato di aver appreso della premiazione dai media nazionali, «una sorpresa» che ora potrebbe rilanciare la lotta allo sfruttamento minorile in cima alle priorità del governo.

«Dobbiamo smettere di usare la povertà come una scusa per il lavoro minorile. Il lavoro minorile permette alla povertà di continuare ad esistere. Negare a un bambino il diritto all’istruzione significa condannarlo alla povertà» ha spiegato Satyarthi ai microfoni di Ndtv, e a chi gli chiedeva come mai, appena 26enne, avesse deciso di dedicare la sua vita ai diritti dell’infanzia ha offerto una risposta rivoluzionaria, nel panorama corporate-oriented dell’India di oggi: «Beh, qualcuno doveva pur farlo no?».