Sarà allo stesso tempo un omaggio e una sfida il nuovo The Predator, diretto da Shane Black, in uscita a metà settembre negli Stati Uniti e poche settimane dopo in Italia.
Un omaggio per il desiderio da parte del regista e sceneggiatore di rituffarsi in quell’universo non solo cinematografico che ha segnato un’epoca fondamentale per il fantastico. Una sfida perché Black ha l’obiettivo, non banale questo è vero, di gareggiare in paura e spavento con l’originale di John McThiernan.
Nel suo Predator si venivano a convogliare tutta una serie di elementi che avevano rappresentato negli anni precedenti il cuore della cultura e anche della storia americana. Il Vietnam, lo strapotere della Cia nell’America centrale, i muscoli di Arnold Schwarzenegger, gli spaventosi mostri-predatori, esemplari di una razza aliena completamente diversa dagli extraterrestri di Spielberg.

Insomma, in quel 1987 in cui l’era reaganiana iniziava a mostrare a tutti il suo lato demoniaco con il crollo in borsa del 19 ottobre, Predator contaminava l’incantato mondo della ovattata ed eroica fantascienza anni Ottanta di creature orribili e cattivissime, ancora più dotate tecnologicamente dei pur dotatissimi americani. Per cui, alla fine, come nel Rocky 4 dell’anno precedente, in cui Stallone-Balboa sfidava Dolph Lundgren-Ivan Drago, più giovane e soprattutto allenato secondo gli ultimi ritrovati della tecnologia applicata allo sport, quella tra il maggiore Dutch Schaefer (Schwarzeneger) e i predatori alieni sarà alla fine una sfida di muscoli, astuzia, scaltrezza.

Scudi spaziali
È così che in fondo quella stessa America reaganiana impegnata con tutte le forze nella seconda guerra fredda, pensava di vincere lo scontro definitivo con l’Urss. Le armi, gli scudi spaziali, le risorse della tecnica sono fondamentali, ma come dimostrava il Predator di McThiernan, alla fine gli americani continuavano a immaginare la battaglia finale come un duello western, una sfida infernale tra i buoni e i cattivi. Ennesima dimostrazione della necessità di rileggere gli anni Ottanta sul grande schermo per poter capire in quali direzioni stava andando la più grande potenza militare del mondo. In quel Predator Shane Black, sceneggiatore di successo del primo Arma letale, interpretava Hawkins, il mercenario che leggeva Sgt. Rock (la rivista di fumetti in cui si raccontano le avventure dell’omonimo personaggio, un soldato americano nei teatri di guerra del Novecento), sventrato e appeso ad un albero dalla furia del mostro.
Ora quello stesso Black, diventato anche regista (The Last Action Hero e Iron Man 3), cerca di riannodare i fili di quel film e riproporre a una generazione che forse in definitiva poco lo conosce, l’universo di Predator in una chiave attendibile soprattutto dal punto di vista tecnologico. Ma nel frattempo l’influenza di Predator si è allargata ben al di là del cinema, straripando nel mondo dei videogame e in quello dei fumetti.
Proprio in questi giorni Saldapress manda infatti nelle librerie e nelle fumetterie Predator 30° anniversario (pp. 308, euro 29). Un volume in cui si raccolgono tre storie scritte da Mark Verheiden, lo stesso che ha sviluppato l’universo narrativo di Alien. Dopo il successo del primo film Verheiden viene incaricato di scrivere delle storie che sviluppassero quell’universo narrativo assieme al disegnatore Chris Warner. Ne è venuta fuori una trilogia che inizia con Giungla di cemento, dove alle foreste del Centro America si arriva a quella pietrificata della Grande Mela. È qui che gli yautja, i predatori cacciatori di trofei, hanno deciso stavolta di dirigere il loro attacco, in questa città simbolo degli Stati Uniti e della loro egemonia economica nel mondo. A fronteggiarli c’è, per un ironico ma neanche tanto esercizio di filiazione narrativa, il fratello di Dutch Schaefer, poliziotto con muscoli neanche a dirlo straripanti, modi bruschi e molta, molta intraprendenza.

Fratelli
Schaefer si trova di pattuglia in una afosa serata d’estate quando dalla centrale lanciano un allarme per una sparatoria. Giunto sul luogo trova i corpi appesi, squartati, eviscerati, di alcuni membri delle gang locali. Ma nonostante i tentativi da parte della polizia di mantenere segreta la cosa, Schaefer viene a sapere che questi non sono semplici delitti di malavita, ma opera di assassini appassionati di sfide, in qualche modo connessi con suo fratello Dutch, di cui da tempo ha perso le tracce.
Schaefer torna nella foresta, sulle tracce del fratello e scopre la verità su questi esseri appassionati alla caccia agli umani. Hanno da secoli l’abitudine di venirsi a divertire sulla Terra, ma se finora le loro zone di elezione erano quelle calde, le foreste equatoriali e così via, ora il loro recinto d’azione si è spostato più a Nord a causa dell’effetto serra. Riflesso questo di quell’attenzione verso i grandi mutamenti climatici di cui molte opere a fumetti importanti si occupavano in quegli anni, una su tutte Swamp Thing, la creatura della Palude, portata da Alan Moore a nuova vita proprio in quel periodo.
I mostri sono dei cacciatori ma anche dei giocatori e proprio questa dimensione ludica del confronto/scontro con i mostri è uno degli elementi maggiormente innovativi di Predator. La caccia non è più unidirezionale, ma è un confronto aperto, sulla breccia di un mondo in cui gli altri nemici per così dire «abituali», come i narcos colombiani, assumono il ruolo di comparse nel gioco mortale in atto.
E allora, come dice uno dei militari a Schaefer spiegandogli la «poetica» venatoria di questi esseri: «Diavolo, se la Terra è il loro parco giochi, allora New York è l’ottovolante!».
Ed è proprio nella città che non dorme mai che si torna infatti per la sfida finale, in una sorta di trasformazione in western urbano del conflitto con gli alieni in cerca di sfide all’ultimo sangue.

Queste storie scritte da Mark Verheiden mantengono rispetto alla sceneggiatura del film originale (scritta da Jim e John Thomas) anche quell’ingrediente fondamentale per il suo successo che è l’ironia con cui vengono conditi alcuni dialoghi perlopiù in momenti cruciali, come ad esempio nel corso dei combattimenti, quando Schaefer per togliersi di mezzo uno scagnozzo venuto a rapirlo, dunque a distrarlo dalla sua caccia ai mostri, gli risponde: «A quei mostri che giocano alla guerra coi tuoi amici non frega un cazzo della cocaina. Non sono umani… comprende? (…) Ascolta, sono stanco, indolenzito e non mangio un cheeseburger decente da quando ho lasciato New York. Quindi piantala di rompere».
Le altre due storie contenute nel volume, sono intitolate Guerra fredda e Fiume oscuro, ambientate in Siberia e in Sud America e hanno sempre come protagonista il poliziotto tutto muscoli del maggiore Dutch Schaefer.