La prima volta che le aule parlamentari hanno udito il nome del professore di diritto di Volturara Appula Giuseppe Conte è stato quando la camera dei deputati lo ha eletto nel consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Era il settembre 2013, c’era ancora Enrico Letta a palazzo Chigi e i 5 Stelle erano quasi una novità. A proporre per quel posto di un certo prestigio e di non eccessivo impegno, buono per il famoso curriculum, colui che poi sarebbe imprevedibilmente diventato presidente del Consiglio fu un deputato di Firenze, avvocato, grillino entusiasta, che si ricordò del professore al quale aveva fatto da cultore della materia, quel deputato era Alfonso Bonafede. La gratitudine è merce rara in politica e quando c’è va riconosciuta. Dieci anni dopo, ieri, Giuseppe Conte è riuscito a far eleggere dalla camera nel consiglio di presidenza della giustizia tributaria il suo antico allievo. Ed è riuscito a farlo votare dai partiti di destra, quelli che contro Bonafede ministro della giustizia hanno gridato di tutto e di più. La scelta è caduta sul consiglio tributario e non su quello, già contiano, amministrativo perché per il secondo servivano venti anni di iscrizione all’albo, mentre per il primo ne bastano dodici. Bonafede, che era rimasto l’unico del giro stretto dell’ex presidente del Consiglio senza collocazione, di anni da avvocato ne ha messi insieme ne ha sedici. E così potrà sedersi sulla nuova «poltrona», come l’ex ministro chiamava gli incarichi (degli altri), e guadagnarsi uno stipendio di 70mila euro lordi più le spese.

Pur di premiare Bonafede, Conte ha rotto il fronte dell’opposizione, facendo accordi con la maggioranza. Dunque accettando le quote imposte da Fratelli d’Italia per questa tornata di nomine nei consigli di presidenza delle giurisdizioni speciali, in totale dodici. Quattro posti per il Csm della giustizia amministrativa, quattro per la giustizia contabile e quattro per la giustizia tributaria (per ognuna, due eletti dalla camera e due dal senato). Il partito di Meloni ha rifiutato la tradizionale spartizione 8 a 4 tra maggioranza e opposizione e ha imposto un 9 a 3, concedendo un solo consigliere a testa ai tre partiti principali dell’opposizione. Soluzione alla quale il Pd si è opposto da principio, non accettando di avere lo stesso peso di 5 Stelle e renzian-calendiani. Tant’è che le nomine sono rimaste a lungo sospese, fino a che tra giovedì e ieri lo stallo si è risolto grazie alla collaborazione di Calenda, Renzi e Conte con la maggioranza. Serviva infatti la maggioranza assoluta, sempre un bel problema come si è visto sul Def. Alla fine tutti i candidati del pacchetto hanno raggiunto il quorum comodamente e tra i prescelti della destra ha trovato conferma il momento d’oro per i soci del centro studi Livatino, pensatoio ultracattolico del sottosegretario Mantovano. Solo Bonafede è rimasto in bilico fino all’ultimo, passando per un pugno di schede – evidentemente qualcuno a destra e nel “terzo” polo proprio non ce l’ha fatta a votarlo.

Il Pd non ha partecipato al voto. La segretaria Schlein era alla camera e ha denunciato «il mancato accordo sui membri spettanti all’opposizione e sul rispetto della parità di genere». Altro che parità, su dodici sono state elette appena tre donne. Calenda ha avuto il suo posto, promuovendo il segretario regionale siciliano di Azione, Palazzolo. Intanto i 5 Stelle hanno approfittato dell’Aventino del Pd per raddoppiare la posta. Il presidente dei senatori dem Boccia li ha attaccati: «Chi fa passare il principio che la maggioranza può violare l’equilibrio si rende colpevole». La presidente dei deputati Braga ha dato dei «complici» ai colleghi di opposizione.

E così, oltre a Bonafede, i 5 Stelle sono riusciti ad eleggere anche Francesco Cardarelli, da tempo avvocato del Movimento e direttamente di Conte nella causa di Napoli contro i dissidenti. Non solo. A guardar bene anche altri due nomi blindati nell’accordo e di conseguenza eletti dicono qualcosa ai pentastellati: l’avvocato Urraro, portato dai 5 Stelle al senato prima di passare con Salvini e l’avvocato Mormando, che il blog di Grillo aveva indicato come candidato al Csm cinque anni fa. All’epoca il Movimento prima di queste nomine faceva le primarie online.