Orso d’oro a sorpresa alla scorsa Berlinale, On Body and Soul della regista ungherese Ildikó Enyedi ha continuato la sua avventura entrando anche – unica opera di una regista – nella shortlist degli Oscar per il miglior film straniero, e comunque andrà non si può che tifare (rispetto all’insopportabile furbizia di The Square, al topic svolto come un compitino di The Insult, al muscoloso Fox Trot) che per questa eccentrica storia d’amore contemporanea. Col titolo Corpo e anima il film è da oggi in sala, un bel modo per iniziare il nuovo anno (cinematografico) nonostante il doppiaggio – a cui ci si deve rassegnare ma non se ne comprende la necessità visto che il pubblico per film come questo è quello che sceglie le versioni originali. Ildiko Enyedi, era apparsa all’improvviso alla fine degli anni Ottanta, quasi una stella come le due protagoniste del suo esordio, Il mio XX secolo nel quale la regista tesseva con dolcezza dai toni fiabeschi le vicende del Novecento nella vita di due giovani donne, due ragazzine che arrivano da spazi sconosciuti sulla terra, e che vedono i loro destini unirsi indissolubilmente a quelli della Storia che li circonda. Era il 1989, tutto poteva cambiare di nuovo e per sempre, il Muro di Berlino era crollato, l’Urss era finita, e le realtà dei paesi che facevano parte della sua influenza, come l’Ungheria potevano prendere una via indipendente.

Da allora sono passati  quasi trent’anni, Enyedi ha girato altri film, non molti guardando la sua filmografia; c’è un film nel 2008, First Love e poi una serie tv fino a questo Corpo e anima in cui si ritrova qualcosa delle atmosfere sospese di quel suo primo film, nell’unione misteriosa che può accadere tra due esseri umani, anche sconosciuti, forse legati da un filo misterioso, da un’affinità che è quella della solitudine, di un sentimento che li allontana dal mondo. Corpo e anima è, appunto, una storia d’amore che non segue le traiettorie (narrative) abituali, due si incontrano, si piacciono, si studiano poi si baciano e fanno l’amore anche se l’attrazione a distanza tra i due protagonisti è densa di erotismo e sensualità. È il mistero di uno sguardo a distanza, la palpitazione impossibile, la sorpresa spaventosa e insieme magica di scoprire qualcuno che vive nel tuo stesso sogno, anche se impossibile, anche se doloroso. Maria (Alexandra Borbely) è la nuova ispettrice del mattatoio. È silenziosa, poco socievole, molto precisa, con una memoria «abnorme» – come dice lei stessa a cui non sfugge nessun dettaglio.

I colleghi la guardano con diffidenza, le donne la trovano arrogante, gli uomini cercano di corteggiarla ma lei con i suoi abiti monastici non risponde neppure. La temono anche, perché applica le regole senza concessione, qualcuno si lamenta col capo (Geza Morcsàny) un uomo anziano, solitario come lei, con una paralisi al braccio e una vita scandita dal lavoro e dalle serate davanti alla tv. Finché al mattatoio, dove le bestie filmate in frontale rimandano all’obiettivo la loro consapevolezza rassegnata qualcuno ruba una potente sostanza per sedare i tori, aggredendo il sorvegliante.

La polizia indaga, manda una psicologa, «oca giuliva con grandi tette» la bolla dopo il loro incontro Endre, e l’uomo e la ragazza scoprono di avere quasi ogni notte lo stesso sogno nel quale sono due cervi, in uno strano bosco innevato, davanti al ruscello. Non si sfiorano neppure rispondono entrambi alla psicologa, e quella scoperta li avvicina. Non sappiamo del loro passato, intuiamo ferite, rotture, l’infanzia di lei tra istituti e terapeuti che non le hanno fatto guarire la paura di esser toccata e il bisogno di seguire le regole con precisione così come i gesti ripetitivi della vita. L’ignoto è uno spavento, un trauma, forse una sofferenza…

Dalle prime sequenze, piuttosto dure che restituiscono il ciclo della macellazione degli animali si arriva agli interni geometrici, senza sbavature dove vivono i due personaggi, così simili alle loro teste; corpi e anime, i movimenti si specchiano nelle geometrie dei luoghi, nella condizione del loro quotidiano. Poi le cose si complicano, i sentimenti vanno fuori controllo, un passo troppo avanti, o uno indietro di fronte alle aspettative e alle fantasie. Corpo e anima non sempre si accordano ma la «separatezza» di Enyedi non rimanda certo a quella della teologia; è piuttosto lo scarto che c’è tra il desiderio e la sua realizzazione, tra quei gesti goffi e una tenerezza che sembra impossibile nelle stanze piene di sangue degli animali ogni giorno, tra la «realtà» e il bisogno di credere che uscire dalle proprie nevrotiche paure – degli altri, del mondo, di amare, di stare male – è possibile. Forse non accade ma ci si può provare, fino a sembrare fuori di testa, fino a quel momento in cui l’altro esiste di per sé, insieme a noi, complice come un sorriso al mattino.