Sembrano passati molto più di 15 anni da quando Lula, appena eletto presidente del Brasile, di fronte alla folla enorme di partecipanti al Forum Sociale Mondiale, a Porto Alegre, assicurava che non avrebbe potuto fallito. Perché, spiegava, il suo era il trionfo non di un singolo individuo, ma di un popolo: il frutto della coscienza politica della classe lavoratrice brasiliana.

Nessuno, allora, avrebbe potuto sottrarsi all’esaltante sensazione che la presenza di un ex metallurgico alla guida dell’ottava potenza industriale del mondo esprimesse finalmente l’inizio di un’inversione di rotta, la prima curva ascendente della sinistra dalla caduta del Muro di Berlino.

E pazienza se a guastare appena un poco la festa vi fosse la polemica sull’annunciata presenza di Lula, di lì a poco, al Forum economico di Davos, il raduno dei potenti del mondo contro cui il Fsm era nato: il primo segnale di una tendenza alla conciliazione di classe che avrebbe caratterizzato tutto il governo del presidente operaio.

Quindici anni dopo, Lula ha fatto ritorno al Forum Sociale Mondiale, questa volta ospitato a Salvador de Bahia, ma, rispetto ad allora, nulla potrebbe essere più diverso. È diverso per il Brasile, come è tornato brutalmente a indicare l’omicidio dell’attivista e consigliera comunale del Psol Marielle Franco: la prima esecuzione politica dall’inizio dell’intervento militare a Rio deciso dal governo Temer, ma anche il riflesso di quello stato d’eccezione in cui il Paese sta sprofondando un po’ per volta.

È tutto diverso anche per Lula, bersaglio prioritario del golpe iniziato con la destituzione di Dilma Rousseff, ma destinato a compiersi con il suo arresto, sempre più reale nella misura in cui gli ultimi febbrili tentativi di scongiurare l’inizio dell’esecuzione della pena già dopo la condanna in appello sembrano votati all’insuccesso.

Ma è tutto diverso anche per il Forum Sociale Mondiale, ormai «svuotato di idee, di popolo e di lotta» – come ha evidenziato, in una delle tante analisi sul suo stato di salute, Aram Aharonian del Centro latinoamericano de análisis estratégico – e incapace di realizzare quel compito a cui lo aveva sollecitato già nel 2005, al Forum di Mumbai, Arundhati Roy: quello di concentrarsi «su obiettivi reali, scatenare battaglie reali e infliggere un danno reale».

Il danno, al contrario, lo ha inflitto il nemico, perché, considerando lo stato del mondo, diventato nel frattempo più diseguale, più violento e più ecologicamente insicuro, sarebbe difficile dare torto al miliardario Warren Buffet, quando ha affermato che negli ultimi 20 anni c’è stata una guerra di classe e la sua classe ha vinto.

E allora, di fronte all’elementare verità che Davos ha sconfitto il Forum Sociale Mondiale, e che in pochi luoghi come il Brasile questa sconfitta risulta tanto evidente, quel passaggio dalla resistenza all’alternativa così orgogliosamente rivendicato in America Latina ha nuovamente invertito la direzione.

Tant’è che proprio nel segno della resistenza si sta svolgendo quest’ultima edizione del Fsm, segnata anch’essa dal lutto per la morte di Marielle Franco, un esempio di lotta offerto al popolo brasiliano perché esca dall’apatia e torni a occupare le strade del Paese, proprio come ha fatto in questi giorni per protestare contro l’esecuzione della giovane attivista nera.

«Chi ha ucciso Marielle – ha dichiarato Lula durante l’«Atto per la democrazia» celebrato nell’Estádio de Pituaçu a Salvador – non ha compreso che le sue idee saranno ora più forti di quando era in vita». E ha aggiunto, anche in riferimento alla propria vicenda giudiziaria: «Possono fare qualsiasi cosa contro di noi, ma non contro ciò in cui crediamo. Vogliono arrestarmi per farmi tacere, ma io parlerò attraverso di voi. Vogliono arrestarmi perché non possa più andare in giro, ma io camminerò con le vostre gambe».