Straniante e straniero. Errante soprattutto. Il protagonista di Contar, poema eroicomico di Guido Carminati (pseudonimo di Sergio Fedele), è alla costante ricerca dell’essenza originaria. Parla con gli alberi, il suo Virgilio è un cavallo, comprende le lingue che facendosi si disfano e poi si rifanno con forme nuove ed altre, modificando suoni e forma, note e segno. Ma al centro di Contar non vi è un uomo o una cosa quanto invece un percorso: l’erranza. Erranti sono i protagonisti, il cavaliere Puc Puc ed il cavallo Cup Cup, suo maestro e guida.

Ed erranti ed erratiche sono le lingue utilizzate, inventate, visionarie, raffinate e primitive. La lingua cupucchiana o pucuppiana, sonora come le lingue orali, fitta di rimandi culturali, un pastiche tra dialetti del nord, italiano antico ed echi delle altre lingue romanze. Il synsynbai, una lingua filosofica, eraclitea, e poi c’è il gramelot dei borborigmi, omaggi alla prosa barocca, ai codici e sottocodici, che ha una aspirazione: liberarsi dalla lingua verbale per approdare al suono (si vedano le partiture dentro il testo) o al gesto (il Discipulo si esprime con le posizione yoga, anzi con lo yogico-circense…). Una lingua che libera, anzi si beffa dell’italiano. «La lingua che ereditiamo è prigioniera. Bisogna liberarla» spiega l’autore che all’argomento dedica il Ciclo degli Amanti della Glotta, un metatesto linguistico-grammaticale, sempre nel registro comico.

Il corposo e raffinato volume, 358 pagine, Runaeditore, è frutto di ben dodici anni di ininterrotto lavoro. Il titolo, in dialetto veneto o in italiano antico, significa raccontare. Ma anche cantare. Il cantore epico canta e racconta insieme, l’incipit dei poemi omerici è Narrami/Cantami…. Tutta l’opera echeggia o fa il verso all’antica tradizione dei cantari e lo fa anche in termini filologici, immaginando numerose tradizioni e trasmissioni del testo dove muta lo stesso titolo dell’opera. Lo sradicamento, l’esilio, l’alienazione dell’uomo dalla natura e quindi da sé stesso, sono tra i temi più importanti del libro. Il cammino dei due protagonisti va in direzione opposta, è un iniziatico percorso di Reintegrazione con tutti i viventi. L’uomo, stralunato e pazzo, preserva in sé la selvatichezza primitiva. L’animale lo guida a contatto con tutti gli altri esseri animali, vegetali e minerali.

Gli avventurosi protagonisti partono dalle periferie industriali, attraversano nel Ciclo lindo dei Misteri ierofanici arborologhi, foreste, boschi, montagna e grotte dove i parlano con gli alberi: i cipressi Ahi Ahi e Lai Lai, ad esempio, che raccontano a Puc i misteri dell’era zogzoghiana e della Phorete Alphabetique. Oppure il platano Patientia, il mirtillo Miramoltoquantoèintensoèilviolamio, oppure i pipistrelli musicisti dell’Antro delle Ninfe in Fuga, il Discipulo del Maestro delle Intabolature vespertine e molti altri. Nel Contar de la Catastrophe, uomo e cavallo si imbattono negli Erranti Scalzi – una sorta di setta di seguaci di Puc e Cup – che attraverso il resoconto delle loro riunioni fissate in verbali, intrecciano una sorta di commentario rapsodico (e un po’ talmudista…) allo stesso Contar.

Il poema termina, ne il Ciclo delle Conche e dei Dendroliti, con un ritorno dei nostri erranti agli uomini, i Non, una comunità che cerca di ripensare e risentire il proprio abitare il pianeta, il rapporto con sé stessi e con gli altri, con l’universo, seguendo una scienza diversa, abbandonata da Bacone in poi. L’autore segue le tracce degli antichi miti, che parlano della separazione tra uomo e natura, e rilegge Marx secondo cui l’uomo detiene la terra in usufrutto e non in proprietà. In Contar riecheggia il mito veterotestamentario della caduta e dell’esilio dall’Eden, e, prima ancora, il tragico contrasto tra natura e cultura che si trova già – con la coppia Gilgamesh- Enkidu – nel poema babilonese di Gilgamesh.

Il mito greco dell’età dell’oro, così come quello di Esiodo che nelle Opere e i Giorni parla dell’aurea stirpe da cui l’uomo è via via precipitato sino a quella ignobile del ferro e alla sesta stirpe ancora peggiore, piena di perfidia e malizia «forse è la nostra» spiega l’autore. Carminati ha letto Rousseau che nel Discorso sull’origine dell’ineguaglianza traccia il profilo della civiltà come una degenerazione se confrontata alle società selvagge. La nostalgia dell’autore è senza dubbio per le società matriarcali di tipo comunista o comunitario. Nelle sue pagine è chiara la condanna per le società patriarcali (dallo schiavismo al capitalismo) divise in classi, basate sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sul razzismo, sul sessismo, sullo specismo.
E come non pensare ad una parodia del Don Chisciotte, a sua volta parodia dei Poemi Cavallereschi. A differenza del Chisciotte però, il mondo perduto che riaffiora in Contar – e che nel Chisciotte si scontra con il reale come follia e tangibile allucinazione – non è quello delle nobili virtù del feudalesimo enucleate dalla Cavalleria e dal Cavaliere Errante, spezzate dal crudo realismo materialista e mercantile dell’avvento della borghesia emergente, ma è la Natura.

L’età dell’oro, che Carminati chiama Era dei Zoga Zoga o Era dell’aria scéta, dove tutti gli esseri viventi, piante e pietre, vivono in armonia. L’autore conduce l’uomo alla scoperta delle sue origini, per liberarsi delle sue degenerazioni metafisiche e riportarsi in condizione di porre in modo autentico la questione ontologica fondamentale. Chi può accompagnare con un cammino a ritroso, errante ed errabondevole, l’uomo alla sua origine animale, selvatica, se non un animale? Ed è Cup Cup, un cavallo che, storico compagno di avventure dell’uomo, qui ha però il ruolo di maestro, di guida, di colui che riconduce l’uomo a sé stesso». Il finale lascia spazio alla speranza. I due erranti precipitano in una conchiglia fossile, spinti da un vento interno che li risucchia e li fa riemergere, ed incontrano gli erranti scalzi. Una setta integrata nella natura, speranza della società futura. Un messaggio ecologico e pacifista, raccontato in una lingua che non esiste.