Un alieno in arrivo direttamente dagli anni ’70. Un cantautore, con la chitarra sulla spalla tenuta per il manico, dalla voce seducente e dalla timidezza innata, nascosta dietro grandi occhiali scuri. Provate ad ascoltare Sandrevan lullaby o Lifestyles, potenti e intriganti ancora oggi, roba a metà strada fra Bob Dylan e Don McLean. Tanto che l’Archivio del Materiale Proibito del regime sudafricano di Botha conserva ancora i suoi vinili, tutti graffiati e rovinati con un punteruolo, per evitare che qualcuno potesse ascoltare quelle canzoni sovversive. Un perfetto Signor Nessuno, venuto dai sobborghi di una grande città americana dove vive da quarant’anni, ma rockstar molto amata in Sudafrica, più conosciuta di Elvis Presley, grazie a due dischi incisi nei seventies. American zero, South African hero ha titolato un magazine per riassumere la sua vicenda, misteriosa e affascinante, quasi alla fu Mattia Pascal.

. [do action=”citazione”]«Mi descrivo come un musico-politico – dice Sixto Rodriguez, questo è il suo vero nome, ma tutti lo chiamano Sugar Man, come una sua canzone, una lettera d’amore di un tossico al suo spacciatore- Sono nato e cresciuto a Detroit, a quattro isolati dal centro. Nella mia musica c’è un eco, tra la Motor City di allora e il Sudafrica dell’apartheid: nel 1970 i manifesti, i volantini, le affissioni recitavano ‘Vogliamo posti di lavoro, fermate la guerra’, io osservavo e cantavo col punto di vista della classe operaia»[/do]

Dopo un silenzio durato oltre trent’anni, Rodriguez è il protagonista di un nuovo documentario, Searching for Sugar Man, premiato quest’anno con l’Oscar per il miglior documentario, segnalato dal pubblico al Sundance, e fino a domani nelle sale del circuito The Space, e film d’apertura del Biografilm Festival.
Una storia davvero sorprendente, incredibile e deliziosa. Malik Bendjelloul, il regista di Searching for Sugar Man, l’ha scoperta durante un viaggio nel paese di Mandela e gli ha dedicato tempo ed energie, sostenendo che il successo di Rodriguez in Sud Africa poteva essere equiparato a quello dei Rolling Stones e un’edizione di Cold Fact stampata in loco aveva venduto qualcosa come 500mila copie senza che lo stesso Rodriguez sapesse niente di questa popolarità e ricevesse alcun compenso sui diritti. Cold Fact aveva cominciato a circolare in versione bootleg e Rodriguez divenne, a sua insaputa, la colonna sonora del movimento di liberazione giovanile, tra Johannesburg e Pretoria. Nato 70 anni fa a Detroit, Sixto Rodriguez è figlio di immigrati messicani arrivati in città per lavorare nell’industria automobilistica locale. Sixto ha realizzato due album con canzoni di protesta da folk artist ribelle e convincente – Cold Fact del ’70 e Coming From Reality del 1971 – incensate dalla critica ma senza fortuna commerciale e ha poi abbandonato la musica andando a lavorare a giornata nei cantieri.

Invece le sue registrazioni divennero famose in Sudafrica. Secondo Stephen Segerman, proprietario di un grande negozio di dischi a Cape Town, uno dei tanti intervistati del documentario, una specie di caccia al tesoro per Sugar Man, in ogni collezione di dischi di bianchi sudafricani liberal di quegli anni c’erano una copia di Abbey Road, una di Bridge Over Troubled Water di Simon and Garfunkel e una di Cold Fact. Però Sugar Man restava un personaggio di un altro mondo , dall’altra parte dell’oceano, accompagnato anche dalla leggenda della sua morte. In Sudafrica girava un triste ritornello. Sembrava che, frustrato dal suo completo insuccesso, Rodriguez si fosse sparato con una rivoltella durante un concerto di fronte a un pubblico americano che lo stava insultando. Niente di più falso e fantasioso, con discografici e amici di vecchia data allertati per provare a rintracciarlo e una lunga telefonata con le figlie ha permesso ai suoi sostenitori sudafricani di scoprire la verità e di sapere che Sugar Man è vivo e …lotta insieme a noi.
«Mi piace suonare la chitarra – ha aggiunto Rodriguez, raggiunto dai media – mi sono presentato alle elezioni politiche del mio quartiere ma non sono stato eletto e ho deciso di andare a suonare in Sudafrica, voglio conoscere più da vicino i miei fan». Oltre ventimila persone hanno assistito al primo concerto del 6 marzo 1998, con scene di autentica idolatria, anche da parte del pubblico più giovane (ragazze che si fanno firmare la tshirt che indossano, altri che si fanno fotografare davanti ai monumenti con Sugar Man, ecc.) dove il chitarrista -accompagnato da una band elettrica – ha eseguito gran parte del suo primo album e alcune cover d’antan mandando in visibilio la platea. E ripetendo altri cinque concerti, tutti esauriti. Da allora è tornato altre volte per un totale di trenta concerti, sempre stupito di questa caldissima accoglienza ma altrettanto lucido, da tornarsene a vivere nella sua casa, quella dove abita da oltre quarant’anni, quella frequentata da compagni di lavoro dell’edilizia e talent scout anni ’60 che hanno sempre scommesso sul puro talento di quest’autore, psichedelico e sognante, attivista vigoroso.

I’ll slip away, scivolerò via, era il titolo di uno dei brani del suo terzo album, mai finito e mai pubblicato, anche se la Sony ha ristampato i suoi due classici e anche la formidabile colonna sonora originale del film. Ogni tanto Rodriguez fa qualche concerto anche dalle sue parti ed ha partecipato al David Letterman Show, raccontando dettagli inediti della sua epopea. È un discendente degli hobo, un artista unico e brillante che aveva inciso dei dischi per raggranellare un po’ di denaro ma poi non ci aveva pensato più. Continuando a suonare, solo per gli amici. Ma la vita, lo sappiamo, deve essere agitata molto e lo zucchero, come è noto, arriva spesso alla fine…