Il «decreto dignità» non piace al Pd, a Forza Italia, alle imprese – da Confindustria agli artigiani – ma è stato accolto con interesse dai sindacati e dalla sinistra. Anche se sicuramente si può fare di più, e soprattutto si devono respingere le minacce incombenti – spinte specialmente dalla Lega – come la reintroduzione dei voucher e lo smantellamento della legge 199 contro il caporalato. Il decreto è stato illustrato ieri pomeriggio in conferenza stampa dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio, dal premier Conte e dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti.

DI MAIO HA SPIEGATO CHE il decreto si basa su «tre concetti: diamo un colpo mortale al precariato, licenziando il Jobs Act; diamo un colpo mortale alla parte più insidiosa della burocrazia, per cui ci diranno che vogliamo favorire gli evasori quando vogliamo favorire i cittadini onesti; siamo il primo Paese in Ue che dice stop al gioco d’azzardo e no alle multinazionali che vengono qui, prendono soldi e delocalizzano».

Il Pd, dall’ex ministro Carlo Calenda al presidente Matteo Orfini, fino all’ex premier Paolo Gentiloni, non ha trovato altra strada che difendere proprio il Jobs Act, paventando il ritorno di «nuovi ostacoli a lavoro e occupazione»: in questo trovando come alleati solo Forza Italia e la Confindustria, non certo i semplici cittadini e i lavoratori che hanno visto scendere a capofitto i diritti grazie al Jobs Act. Dall’altro lato Leu e i sindacati, Cgil, Cisl e Uil, hanno apprezzato la direzione in cui va il decreto ma chiedono di fare di più: la segretaria Cgil Susanna Camusso parla di «argomenti giusti ma poco sviluppati». Per Nicola Fratoianni (Leu) «il decreto è troppo timido: sarà necessario migliorarlo in Parlamento». «Quello che non si può fare – conclude il leader di Leu – è contrastare questo decreto rivendicando il ruolo mortifero del Jobs Act e del decreto Poletti, come sta facendo il Pd».

IN EFFETTI, PIÙ SI smonta il Jobs Act e meglio è, ma si è fatto ancora poco. E una minaccia viene dai voucher, su cui ha aperto lo stesso Di Maio, dopo che ieri il ministro per le Politiche agricole Gian Marco Centinaio è tornato all’attacco, chiedendo la reintroduzione non solo per l’agricoltura ma anche per il turismo, di cui ha assunto la delega. Con una minaccia chiarissima ai contratti dei lavoratori agricoli e del turismo, verso il far west dell’usa e getta.

Di Maio ha prima spiegato la logica dei nuovi contratti a termine – di massimo 24 mesi, con soli 4 proroghe possibili anziché 5, con un rincaro contributivo dello 0,5% a ogni rinnovo, «solo 12 mesi senza causale e non più 36» – ha cercato di rassicurare le imprese – «non avete nulla di cui preoccuparvi, lavoreremo per la semplificazione» – poi ha annunciato che nei prossimi mesi si «ridurrà il costo dei contratti, come strada maestra per la stabilità». Nuovi incentivi, dunque, ma si dovranno trovare le coperture. Infine ha aperto ai voucher: «I voucher – ha detto – erano nati per alcuni lavori, come quelli domestici di colf e badanti, e in alcuni casi nell’agricoltura. Se il tema è questo se ne può discutere».

ARTICOLATO IL GIUDIZIO del sindacato sui contratti a termine e l’indennizzo potenziato contro i licenziamenti: «Bene aumentare il risarcimento per i licenziamenti ingiustificati ma noi abbiamo sempre rivendicato il ritorno dell’articolo 18. E se non erro lo stesso ministro durante la campagna elettorale aveva sostenuto questa tesi», ha detto Susanna Camusso. «Analoga cosa sui contratti a termine, con le causali che si reintroducono solo dopo i 12 mesi – ha aggiunto – mentre noi pensiamo debbano essere proposte a tutti i livelli». «La Cgil è assolutamente contraria – infine – sul ritorno dei voucher».

Stessa contrarietà sui voucher è stata espressa da Annamaria Furlan, leader della Cisl: «L’agricoltura e l’edilizia non credo proprio possano avvalersi dei voucher», ha detto.

SULLA REINTRODUZIONE dell’articolo 18 lo stesso Di Maio si è dimostrato cauto, e a chi gli chiedeva se il «decreto dignità» anticipasse il suo ripristino ha risposto: «È un primo passo, il nostro obbiettivo è combattere il precariato e abbassare il costo del lavoro».

E se il ministro dell’Agricoltura va all’attacco delle tutele, il suo predecessore Maurizio Martina (Pd) difende la legge 199 contro il caporalato: «Giù le mani dalla legge contro il caporalato – afferma – Il governo ancora una volta alimenta propaganda pericolosa. Contano i fatti, le decine di indagini aperte e l’aumento dei controlli in agricoltura. È una norma di civiltà e giustizia, che tutela realmente i lavoratori agricoli». Terra!, Flai Cgil, Uila, Libera, Amnesty, Emergency, Oxfam, Arci hanno scritto una lettera aperta ai parlamentari perché la legge non sia manomessa.