In una New York vista attraverso il doppio filtro dell’animazione e della cinefilia, il piccolo Leo deve lottare contro una brutta malattia, che non viene mai nominata: ricoverato nel reparto pediatria di un ospedale attende insieme ai familiari i risultati delle sue analisi, che indicheranno se sta guarendo. Da quando è malato ha scoperto però di avere un superpotere: può uscire dal suo corpo e volare sopra i tetti della città in forma di fantasma invisibile.

Phantom Boy, film d’animazione di Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli (già candidati all’Oscar per il miglior film d’animazione nel 2012 con il loro lavoro precedente, Un gatto a Parigi) racconta la sua battaglia con la malattia ma anche contro un criminale – anche lui senza nome – che vuole distruggere la città con un virus informatico.

L’aiutante di Leo – il suo «sidekick», in un ribaltamento delle convenzioni – è un poliziotto – Alex – costretto su una sedia a rotelle da una gamba rotta. Come il James Stewart di La finestra sul cortile risolverà il caso senza muoversi dalla sua sedia, guardando il mondo non da una finestra ma attraverso gli occhi del piccolo supereroe, metafora del potere dell’immaginazione , di un «voyeurismo fantastico» che guiderà lui e Leo attraverso il labirinto thriller del film – attraversato da citazioni cinefile e che omaggia in primo luogo proprio il maestro della suspense Alfred Hitchcock: la prima sequenza del film riprende le scale a chiocciola di La donna che visse due volte, mentre gli stessi tratti che compongono i titoli di testa ricordano quelli del suo frequente collaboratore Saul Bass .

Il superpotere del piccolo Leo lo porterà così a sconfiggere il «supervillain» che come una sorta di Joker minaccia di annichilire la città, ma soprattutto il suo nemico «reale»: la paura di un male molto meno controllabile di un variopinto supercattivo partorito dalle pagine dei fumetti di supereroi.