Simbolo hollywoodiano, Mickey Rooney ha conosciuto una piccola appendice europea alla sua carriera. A portarlo in Italia ci ha pensato Ettore Scola il quale intuisce che qualcosa sta cambiando anche a Hollywood. Gli anni Sessanta segnano il declino dello studio system mentre in Europa, sull’onda dell’euforia provocata dall’onda lunga delle nouvelle vague, le cose prendono una piega più avventurosa e pop. Ciò che non cambia è il plusvalore dei divi. Non a caso proprio a partire da quel perioso, giungono da Hollywood in Europa i divi hollywoodiani, attirati da compensi lauti e pochi giorni di lavorazione.

Mickey Rooney è tra questi. Nel 1966 ha già alle spalle una filmografia che basterebbe a un’intera scuderia di un’agenzia di talenti. Scola lo affianca a Vittorio Gassman ne L’arcidiavolo, tratto dalla novella machiavelliana Belfagor arcidiavolo. Titolo imprescindibile dell’istrionismo gassmaniano, il film trova in Rooney un contraltare buffonesco in linea con la rappresentazione dei diavoli minori come entità goliardiche, dotate di una pragmatica saggezza. Doppiato da Elio Pandolfi, Rooney non è affatto intimidito dall’altissimo Gassman, anche se gli arriva più o meno al gomito, esibendosi in un repertorio scatenato di smorfie, capriole, gesticolando come un tarantolato. Curiosamente, il brano Adramelek che il maestro Trovajoli dedica al suo personaggio (eseguito dai Marc 4) è un morbido strumentale beat-psichedelico. Tutto il contrario dello scatenato diavoletto. Curiosamente, dopo questa sortita in terra italiana, Rooney torna a Hollywood e rimette piede in un set europeo solo nove anni dopo. Anche in questo caso si tratta di una combinazione comica.

Diretto dallo stuntman Yvan Chiffre, al suo esordio dietro la macchina da presa, Bons baisers de Hong-Kong (distribuito in Italia come 005 matti – Da Hong Kong con furore) è una scatenata farsa interpretata dal gruppo dei Les Charlots, quartetto che andava per la maggiore negli anni Settanta. Rooney interpreta il villain in questa parodia di 007 che vede il governo britannico rivolgersi ai colleghi francesi per risolvere il mistero che ci cela dietro il rapimento della regina Elisabetta. Di certo non uno dei momenti memorabili della carriera di Rooney, il film era comunque una presenza fissa sulle tivvù libere della fine degli anni Settanta.

Nello stesso anno l’attore interpreta in Spagna il thriller Juego sucio en Panama (distribuito da noi come 400.000 sull’asso di cuori) nel quale si cala nei panni di una star in declino. Nel cast figurano anche Eduardo Fajardo e Teresa Gimpera, ben noti agli appassionati di cinema bis. L’anno successivo si sposta in Israele per interpretare un ruolo di secondo piano in film biblico di Moshe Mizrahi (Rachel’s Man), abbastanza trascurabile.

Forse scoraggiato dall’esito non esaltante delle sue sortite extra hollywoodiane, Rooney torna a Hollywood per riaffacciarsi in Europa nel 1989. Diretto dal Monty Python Terry Jones, Erik il vichingo appartiene alla serie dei parziali fallimenti pythoniani, film più interessanti sulla carta che sullo schermo. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, il film vanta numerosi motivi d’interesse. Rooney interpreta il nonno di Erik, cui presta le sue fattezze Tim Robbins, guerriero che si reca alla fine del mondo in cerca di risposte in merito all’eterno ciclo di morte, distruzione e rinascita che è il Ragnarok. Per niente a disagio nel clima di folle e lunare buffoneria surreale orchestrato da Terry Jones, Mickey Rooney si abbandona con visibile piacere a un istrionismo tutto sopra le righe.

Nonostante nel film figuri anche la leggendaria cantante Eartha Kitt, il fato commerciale di Erik il vichingo è una specie di ragnarok produttivo. Se si esclude il doppiaggio in inglese di un cartone tedesco (Die Abenteuer von Pico und Columbus), Mickey Rooney si limiterà per il resto della sua carriera a lavori casalinghi lasciandoci il ricordo, con l’eccezione de L’arcidiavolo, di una manciata di titoli di difficile reperibilità e altrettanto ardua visibilità.