Possiamo considerarla una massima generale, che casca a pennello nel caso dell’Investment Plan for Europe, il piano d’investimenti presentato, il 26 novembre scorso a Strasburgo, dal Presidente della Commissione, Jean Claude Juncker: un documento che manca di ambizione, di mezzi appropriati e di obiettivi qualificanti.

I motivi alla base dell’iniziativa Juncker sono chiari e largamente condivisi, almeno a parole: l’economia ha bisogno urgente di una boccata di ossigeno, che significa «necessità di nuovi investimenti» e l’Europa deve fare la sua parte. Ma investire su cosa e quanto? Il livello d’investimenti pubblici diretti da parte dell’Ue è di circa 21 miliardi di euro, che dovrebbero agire come una leva per creare 315 miliardi di euro in totale, cioè un rapporto davvero miracoloso secondo il quale 1 euro dal fondo dovrebbe creare 15 euro di investimenti. Si tratta peraltro in gran parte fondi riallocati: solo 5 miliardi proverrebbero dalla Bei (la Banca Europea per gli Investimenti); i restanti 16 miliardi di euro, invece, verrebbero sottratti o congelati dal budget Ue per fare da garanzia; non si sa ancora da quali progetti, ma è stato lo stesso Juncker a fare riferimento ai programmi Horizon 2020 e Connecting Europe Facility che potrebbero vedersi privati di almeno 8 miliardi di euro.

Conseguenza, quest’ultima, della decisione di ridurre in modo consistente il Bilancio dell’Ue nel periodo 2013/2020. All’origine, l’idea pare fosse di reinvestire i fondi di emergenza restituiti da Portogallo e Irlanda messi a disposizione nel Fondo Salva stati. Ma il veto teutonico ha bloccato sul nascere questa idea. E cosi Juncker si è adattato, senza andare a cercare altre fonti possibili di finanziamento. Come potrebbero essere la proposta di Tassa sulle transazioni finanziarie, oggi finita in un binario semimorto e comunque con aliquote molto deboli; o la repressione di frode ed evasione fiscale, che potrebbero portare 100 miliardi di euro in più di entrate da dirottare almeno in parte nel misero bilancio Ue e da investire nell’economia reale. Il punto più problematico è comunque il come s’intende spendere questi soldi. Nella testa di Juncker e della maggioranza degli stati membri si tratta di dare la priorità a grandi infrastrutture (tunnel, autostrade, aereoporti, treni ad alta velocità, gasdotti): le liste che si preparano ricordano quando negli anni 90 la Commissione ricevette centinaia di progetti infrastrutturali che poi mise nel famoso piano di Reti Transeuropee, rimaste per lo più incompiute. L’approccio del documento appena approvato dai Verdi al Parlamento europeo “Un piano di investimenti Verde” è radicalmente diverso; si concentra sia su come trovare i denari che su come spenderli per assicurare un massimo profitto non per chi investe, o almeno non solo, ma anche e soprattutto per gli europei e spiega che i cambiamenti climatici e la scarsità delle risorse possono diventare una grandissima opportunità per uscire dalla stagnazione nella quale ci dibattiamo.
L’accento è messo sulle riforme necessarie a garantire un clima favorevole agli investimenti e su tre priorità di spesa di livello europeo: l’uscita dalla dipendenza dai fossili, investendo in energie rinnovabili, interconnessioni, efficienza energetica, in particolare sul patrimonio abitativo. La seconda priorità concerne le politiche locali, dalla mobilità, all’educazione, la lotta all’esclusione, la salute, l’alimentazione e agricoltura: tutti settori chiave per accompagnare il cambio di paradigma verso una società nuova. La terza priorità è l’investimento nell’innovazione sociale verde; dalla sfida digitale alla ricerca mirata a offre soluzioni sostenibili e accessibili in una società sempre più divisa e ineguale. Nessuna di queste proposte è irrealista o utopica. Quello che da qui a giugno sarà necessario fare, anche attraverso il monitoraggio dei progetti presentati a livello nazionale e un duro lavoro legislativo sulla definizione dei criteri di attribuzione, è fare in modo che le proposte del Piano Verde possano trovare uno spazio di discussione e di reale applicazione. È una delle sfide dei prossimi mesi.