Un piano sul nulla. Il governo doveva svelare ai sindacati la nuova proposta per l’ex Ilva. Rappresentato ai massimi livelli – l’ospite di casa Stefano Patuanelli, il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, quello per il Sud Peppe Provenzano – invece si è limitato a tratteggiare una pia illusione: «riportare nel 2023 la produzione del gruppo agli 8 milioni di tonnellate di acciaio previste integrando il ciclo integrale degli altoforni di Taranto con nuovi forni elettrici».

E nel frattempo gestire le inevitabili riduzioni di addetti necessari nella transizione con cassa integrazione. Una posizione già rigettata dai sindacati.

CON QUALE COMPAGINE si arriverebbe a questo «miracolo produttivo»? Non è dato sapere. Così come non si sa neanche come sarà realizzata la presenza pubblica, invocata a gran voce da tutti – compresa Mittal – ma ancora non individuata governo, con il Mef che non ha trovato la quadratura mentre il ministro Patuanelli ha lanciato due esche alla stampa: «Fincantieri e Snam», due aziende lontane anni luce dalla produzione di acciaio, la seconda delle quali capitanata da quel Francesco Caio «consulente informale del governo» nella trattativa con Mittal che ieri non era presente al tavolo, a dimostrazione del pessimismo che aleggia anche all’interno del governo.

LA VERTENZA ARCELOR MITTAL dunque rimane totalmente aperta. Con la multinazionale indiana sempre più propensa ad andarsene. Ad una settimana dall’udienza al tribunale civile di Milano – rimandata al 20 – la battaglia giudiziaria pare la soluzione assai più probabile.

Anche perché Patuanelli e Provenzano ieri sono stati molto duri con la multinazionale indiana nel ribadire la validità dell’accordo del 2018, soddisfacendo sul punto i sindacati. «È incomprensibile la cassa integrazione per 3500 persone» in risposta alla decisione del tribunale di Taranto sull’Altoforno 2, ha attaccato Patuanelli. «Non siamo disarmati di fronte a Mittal. Il contratto prevede sanzioni economiche e anche penali in caso di inadempimenti da parte dell’azienda» anche se poi ha precisato: prima di fare la battaglia legale del secolo vogliamo provare a trattare per un piano industriale che faccia salva produzione, occupazione e innovazione ambientale». Ma il problema di fondo è che il piano alternativo, diversamente da quanto sostiene Patuanelli, al momento non può prescindere da Mittal.
«Non siamo d’accordo con un piano che prevede migliaia di lavoratori in cigs per 4-5 anni perché poi non torneranno mai al lavoro. Prima si mettano in campo tutti gli investimenti previsti poi si potrà parlare di misure transitorie», ha stoppato subito il governo il segretario generale della Uilm Rocco Palombella. «Siamo disponibili a una riconversione ambientale del processo produttivo a patto però che non ci sia perdita di migliaia di posti di lavoro. Si deve governare la transizione energetica con zero esuberi»,

«Non conosciamo le vere intenzioni di Mittal e mi sembra che neanche il governo sia in grado allo stato attuale di saperlo», spiega la segretaria generale della Fiom Francesca Re David. «La cassa integrazione, sarebbe dirompente e naturalmente la rifiutiamo». L’intervento pubblico «lo consideriamo positivo perché significa anche avere voce in capitolo sulle scelte e non solo dare soldi» ma «non ci hanno detto qual è la quantità dell’intervento né qual è il soggetto se Cassa Depositi e Prestiti o Invitalia», conclude delusa.

«NON UN GRAMMO di produzione in meno, nessun esubero e ovviamente gli investimenti per l’ambientalizzazione», sintetizza la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan.