Il 2 agosto 2013, a seguito dell’approvazione da parte del ministero per i Beni Culturali, la Giunta Regionale della Puglia presieduta da Nichi Vendola ha finalmente potuto adottare il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, predisposto dall’ottimo assessore alla qualità del territorio Angela Barbanente, frutto di un complesso e lungo lavoro, che ha visto all’opera una grande équipe di specialisti coordinata da Alberto Magnaghi, uno dei più grandi urbanisti a livello internazionale.
Com’era prevedibile si è scatenato un fuoco di fila di opposizioni, di distinguo, di cautele, di timori. Una dura opposizione che vede attivi non solo i partiti del centrodestra ma anche pezzi del Pd, oltre ad esponenti del mondo delle imprese e delle professioni e a sindaci di entrambi gli schieramenti: tutti a difesa di un vecchio modo di intendere lo sviluppo, basato sulla cementificazione, sul consumo delle risorse, sulla distruzione dei beni comuni, accumunati nella richiesta di rinvii o addirittura di revoche.
Le motivazioni dichiarate si basano su una presunta mancata condivisione. La motivazione reale è, invece, il terrore per un Piano che disegna una Puglia diversa, innovativa, con progetti di sviluppo sostenibile e compatibile con le peculiarità del territorio; un Piano che blocca il bulimico consumo di territorio; un Piano fondato su una solida base conoscitiva e dotato di una Carta Regionale dei Beni Culturali nella quale sono censiti oltre diecimila siti di interesse culturale; un Piano che non si limita a proporre un approccio estetico e a proteggere alcune énclaves, isole di “bel paesaggio” in un oceano di brutture e di cemento, ma che si occupa dell’intero territorio regionale, delle periferie, delle coste, delle aree interne; un Piano che è ormai considerato un modello, studiato e imitato da molte altre regioni italiane. Un vero primato pugliese, anche perché è effettivamente il primo Piano Paesaggistico adottato in Italia, con le nuove norme.
Assurda appare proprio la tardiva critica di mancata condivisione. Quello della Puglia è, infatti, un Piano largamente condiviso, frutto di un’impostazione realmente democratica e partecipata. Non solo perché ci hanno lavorato nel corso di molti anni decine di specialisti provenienti dalle quattro università della Puglia e di altre regioni italiane e un ampio gruppo di giovani ricercatori e di professionisti, con l’apporto di numerose associazioni e di migliaia di cittadini, ma perché è stato presentato e discusso in molte conferenze d’aria (non meno di 13) tenute tanto nelle città principali quanto in piccoli centri della Puglia. Il Piano è stato, inoltre, oggetto anche di numerose pubblicazioni ed è interamente consultabile fin dal 2010, data della prima approvazione regionale, su uno specifico sito web (http://paesaggio.regione.puglia.it).
Gli attacchi sono chiaramente strumentali e denotano anche una sostanziale ignoranza del Piano. Gli oppositori, inoltre, si affannano a presentare quanti hanno contribuito a predisporre il Piano e quanti ora ne difendono la filosofia, come dei talebani, illiberali, centralisti, vincolisti, fanatici che vogliono affamare la Puglia e bloccarne lo 2sviluppo”. Nulla di più sbagliato! Il Pptr della Puglia è tutt’altro che vincolistico, ma insiste sulle premialità, sugli incentivi, sulle buone prassi da diffondere. Non pensa di trasformare la Puglia in un immenso museo o in un grande Parco naturalistico, ma di favorire nuove e più innovative procedure di sviluppo del territorio. Si tratta, dunque, di obiettivi che anche gli ambienti più avveduti degli imprenditori, degli stessi costruttori, dei professionisti dovrebbero condividere, ampliando lo sguardo alle realtà più evolute del mondo.
Mi auguro che i partiti della sinistra, le associazioni culturali e ambientali, i settori più avveduti e avanzati delle professioni e della società civile, facciano sentire forte la propria voce, per evitare che prevalgano gli interessi particolari nel bloccare o stravolgere il Pptr, sollecitando tutti semmai a contribuire a migliorare ulteriormente questo straordinario strumento democratico di pianificazione del futuro della Puglia.
Non mancano anche attacchi da parte di chi considera il Piano addirittura eccessivamente permissivo e accomodante. A costoro ricordo l’esperienza della giunta di Renato Soru in Sardegna, caduta proprio sul Piano Paesaggistico. Cosa è successo successivamente con le politiche di Ugo Cappellacci è sotto gli occhi di tutti.
In Puglia è aperto un confronto tra diverse visioni, non solo politiche ed economiche ma anche culturali, tra chi cerca di difendere e valorizzare i beni comuni, i patrimoni culturali, i monumenti e siti archeologici, i paesaggi unici, l’agricoltura sana, lo sviluppo turistico di qualità, l’industria culturale, la ricerca e innovazione, e chi propone ancora retrive e disastrose politiche di un malinteso sviluppo basato solo su cementificazione, inquinamento, consumo di territorio, devastazione di paesaggi, degrado delle periferie, deturpamento delle coste, avvelenamento dell’agricoltura, a vantaggio di pochissimi e con gravi danni economici, sociali, sanitari e culturali della stragrande maggioranza dei cittadini pugliesi,che certamente non intendono tornare ad un passato che solo pochissimi nostalgici rimpiangono. Un confronto che ha una valenza non solo regionale ma anche nazionale ed europea.
* Rettore dell’Università di Foggia; componente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici