Gli occhi di tutto il mondo saranno, ancora una volta, puntati su Genova. La memoria corre allo smantellamento della Costa Concordia, fatta a pezzi nei bacini di carenaggio della Superba tra il 2014 e il 2017 e trasportata grazie a cassoni di cemento che sembrava impossibile potessero galleggiare. Quell’intervento, mai tentato prima, sembra oggi niente in confronto al piano che sarà necessario per radere al suolo ciò che resta di ponte Morandi. Piano che, nelle sue varianti, non sarà svelato che tra qualche giorno. «Abbiamo dato tempo ad Autostrade fino a venerdì – ha detto il presidente della Regione Liguria e commissario straordinario per l’emergenza Giovanni Toti al termine di una lunghissima riunione con la società – stanno lavorando a un progetto complessivo di messa in sicurezza e demolizione». Demolizione che riguarderà sia il moncone est sia quello ovest del ponte, ovvero le porzioni sorrette dagli stralli e dai caratteristici piloni ad A e quelle che poggiano su pile senza tiranti. E riguarderà anche gli edifici che si trovano sotto il viadotto, inclusi i palazzi di via Porro, anche se forse alcuni potrebbero essere salvati dalle wrecking ball.

«AUTOSTRADE – continua Toti – non ha escluso alcuna ipotesi di azione, ci saranno sicuramente varie opzioni con diversi tempi e diverso impatto sull’area sottostante». Una volta che, tra una settimana, il ventaglio di possibilità sarà noto (deflagrazione, esplosione controllata e collassamento, smontaggio a pezzi sono solo alcune delle idee circolate in Regione) i periti della struttura commissariale valuteranno con quelli della procura e con i tecnici del Comune quale sarà quella migliore, più sicura e più rapida. «Fare presto» è la parola d’ordine, al momento. Sotto il moncone ovest di ponte Morandi sono arrivati ieri anche i vertici di Fincantieri e Cassa depositi. «Siamo qui per confrontarci con la Regione e il Comune e per capire in quale modo il gruppo può dare sostegno finanziario per le imprese e le infrastrutture», ha detto l’ad di Cdp, Fabrizio Palermo. E Giuseppe Bono, di Fincantieri: «Siamo in grado di ricostruire il ponte», anche se «nessuno per il momento ce lo ha chiesto».

ANCORA IERI il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi, titolare dell’inchiesta, ha ribadito che il ponte tutto è in un «grave stato di degrado, lo era anche prima del crollo». Il giorno precedente erano stati i commissari nominati dal ministero dei Trasporti a segnalare alla prefettura come il pilone 10, quello che incombe sulle case, fosse messo persino peggio di quello 9, caduto il 14 agosto scorso. Come dire, il malato non era serio, era terminale. Per questo sembra meno probabile che mai che possano ripartire le operazioni dei vigili del fuoco per consentire agli sfollati di recuperare mobili, vestiti e altri oggetti personali nelle loro case. Eppure, per loro, «la roba» è la priorità. «Non mi interessano i soldi, a quelli penseremo, ora voglio indietro la mia collezione di dischi di Springsteen» afferma neppure troppo metaforicamente Luca Fava, uno degli evacuati, sfogando la sua rabbia durante l’assemblea degli sfollati che si è tenuta su un campo da calcio, ieri sera.

ANCHE GLI EX RESIDENTI chiedono di sapere al più presto che fine faranno le case dove sono nati, o dove si erano appena trasferiti. E aspettano di capire se potranno tornarci anche solo per qualche minuto. Le parole del sindaco Marco Bucci, anche lui ha partecipato al vertice con Autostrade, sono poco rassicuranti. Con i lavori per il piano di abbattimento di ponte Morandi «le zone rosse saranno in progressione – ha detto – è un work in progress, c’è una zona rossa ora e ci saranno una serie di zone rosse in futuro». Nel weekend è prevista grandine su Genova. Ai gazebo del campo base dove si riuniscono i comitati c’è apprensione. Chissà se le tende reggeranno ai temporali. Chissà se il ponte.