Un ospedale su 4 con i conti in rosso: l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali ieri ha pubblicato il report sui bilanci 2019 di 76 aziende ospedaliere italiane, Irccs e policlinici universitari: sono 19 (il 25%) ad aver chiuso in deficit, per un totale di quasi 700 milioni. Nel Lazio, ad esempio, tutte e otto le aziende sono in perdita così come le due liguri, quasi tutti gli ospedali della Calabria (4 su 5) e della Puglia (3 su 4). Infine, la Città della Salute di Torino l’anno scorso ha avuto uno dei deficit più alti d’Italia con «un risultato di gestione, dopo le coperture, di meno 102.504.152 euro». Uno scenario già difficile su cui si è abbattuta la pandemia, così i 9 miliardi stanziati per la Sanità dal Recovery fund appaiono sempre più lontani dalle necessità reali, come sa lo stesso ministro Roberto Speranza che aveva chiesto interventi per 68 miliardi.

«Aumentare la quota assegnata alla Sanità dai contributi europei per il Covid. E utilizzarne una parte per colmare le disuguaglianze di salute con un fondo ad hoc»: è la richiesta arrivata ieri dal Comitato centrale della Federazione degli Ordini dei medici. Il presidente Fnomceo, Filippo Anelli, spiega: «Serve un Piano Marshall. Eravamo partiti da oltre 60 miliardi e ci ritroviamo con 9, così si fa molto poco. Invece bisogna riformare un’organizzazione che è indietro di 20 anni. Abbiamo un sistema che crea disuguaglianze in termini di personale assunto, di posti letto, strutture ospedaliere, centri di eccellenza, servizi erogati. È tutto in mano alle regioni che non riescono a rendere uguali i cittadini difronte alla salute».

Pari dignità e diritti, un principio presente nella legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale: «L’articolo 2 della Costituzione afferma il dovere della solidarietà da parte di tutti gli organismi dello stato – prosegue Anelli – ma avviene davvero? Se in presenza di criticità intervengo con il commissario, senza risorse aggiuntive otterrò solo tagli. Il compito del commissario è sanare i bilanci non riequilibrare i servizi. Il sistema non può funzionare così, il ministero deve diventare il garante dell’equità e dei diritti dei cittadini. Emilia Romagna e Puglia hanno la stessa popolazione ma in Puglia ci sono 20mila addetti in meno. Gli squilibri tra Nord e Sud e tra centro e periferia vanno corretti, ci vogliono le risorse da parte del governo».

La Fnomceo mette in guardia contro una nuova risalita della curva Covid: «I sistemi sanitari sono al collasso e rischiano di crollare sotto il peso di una terza ondata dopo le festività natalizie – prosegue Anelli -. Quando arriverà anche l’influenza e i servizi andranno in tilt». Più fondi ma anche correttivi, perché i medici morti a causa del Covid nella seconda ondata sono saliti a 70, 249 dall’inizio della pandemia.

«Da settembre sono soprattutto i colleghi di Medicina generale a pagare il più alto tributo – spiega Anelli -. Innanzitutto perché i medici di famiglia sono i primi a cui il paziente si rivolge. E poi per la maggior circolazione di asintomatici o paucisintomatici. Infine, manca un protocollo di sicurezza, i dispositivi di protezione sono pochi e le Usca, quando ci sono, vengono usate dalle regioni per fare altro. Come i tamponi e i tracciamenti invece di impiegarle per le visite domiciliari ai pazienti Covid». Ma rischiano anche i medici ospedalieri: «Molte strutture sono obsolete – conclude – e non permettono la distinzione dei percorsi ‘sporco – pulito’. Non tutti i medici, soprattutto quelli dei reparti non Covid, sono provvisti dei necessari dpi e neppure si fanno i tamponi in modo costante ai dipendenti».