Ci sono anche delle misure positive: investimenti nelle smart grid, elettrilizzatori per l’idrogeno, agrivoltaico e per le «comunità energetiche» (ma limitate i piccoli Comuni). Ma non c’è quella svolta verde che era attesa per questa occasione storica di voltare pagina verso un futuro più sostenibile.

L’obiettivo di riferimento per le rinnovabili nel settore elettrico, citato dal Ministro Cingolani (in attesa del nuovo Piano energia e clima) è ambizioso e condivisibile del 72% al 2030 e richiederebbe di installare impianti rinnovabili per circa 6 Gw all’anno, oltre sei volte quanto fatto nel 2020.

Questo obiettivo è di fatto demandato al 90% e più al mercato: cioè a una riforma per accelerare le autorizzazioni ed evitare, ad esempio, che per un impianto eolico ci vogliano anni e anni per autorizzarli. Ma una riforma non basterà da sola, perché il settore per anni è stato bloccato con norme retroattive sugli incentivi, burocrazia lentissima e dunque incertezza.

Un trattamento mirato (con successo) a bloccare il settore e a spaventare gli investitori, che è riuscito in questi anni a riportare una quota del mercato elettrico al gas fossile, inizialmente danneggiato dai pochi anni di crescita delle rinnovabili (2008-12). In questo modo il Piano lascia lo spazio a gas e idrogeno blu (da gas con Carbon Capture and Storage proposto da Eni) mentre per l’idrogeno verde sarebbe indispensabile una spinta ben più forte e certa alle rinnovabili.

In tema di mobilità urbana le cifre sono al di sotto di quello che servirebbe per far decollare il mercato dell’auto elettrica, mentre sulla mobilità urbana collettiva le cifre sono minimaliste e ai treni locali vanno una quota marginale rispetto all’alta velocità. Siccome gran parte delle emissioni di Co2 dal trasporto passeggeri si produce proprio in ambito urbano e metropolitano, l’ispirazione del Piano non sembra esattamente quella di dare priorità agli investimenti che riducono di più le emissioni (mobilità urbana elettrica pubblica e privata).

Sull’efficienza, mai citata nei capitoli riferiti all’industria, si proroga il superbonus per il settore edile senza vincolarlo, come sarebbe necessario, a un salto di almeno tre categorie di efficienza e non alle due attuali. L’agricoltura evidentemente non è considerata affatto un capitolo importante per gli aspetti ambientali e la parola agricoltura biologica non è mai nemmeno citata, eppure sarebbe un elemento qualificante di un «piano verde».

Così mentre si continuano ad autorizzare nuove trivellazioni a mare e impianti a gas, il rilancio delle rinnovabili necessarie a raggiungere gli obiettivi deve attendere una riforma che speriamo sia efficace: dunque la parte «green» è sospesa a questi cambiamenti. Nel frattempo, il Ministro Cingolani continua a far dichiarazioni scorrette sulla mobilità elettrica: certo, quando avremo il 72% di rinnovabili sulla rete sarà ancora meglio, ma già oggi con il mix energetico attuale, le auto elettriche consentono di ridurre le emissioni sia di Co2 che evitare quelle che sotto i nostri nasi attentano ai nostri polmoni. E questo vale anche in termini di ciclo di vita. Un messaggio, non nuovo da Cingolani, che suona come una dissuasione e, dati gli impegni limitati nel Piano, a rallentare il settore e a perder tempo. Forse è quello che serve a chi non ha mai puntato sulla mobilità elettrica e ora è in affannoso ritardo?

Dunque, non c’è una svolta verde, ma un collage di iniziative legate agli interessi più importanti. Così ieri gli attivisti di Greenpeace in una azione di protesta hanno rinominato i diversi ministeri, a partire dal «Ministero della finzione ecologica». La speranza è sempre quella di vedere qualche seria correzione di rotta.

L’autore è direttore Greenpeace Italia