Una coppia di fumettisti e un’impresa da far tremare i polsi: raccontare la quotidianità di chi combatte ogni giorno per strappare vite umane alla furia della guerra e del Mediterraneo. A realizzarla, Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, autori di Salvezza (pp. 128, 15 euro), vero e proprio diario disegnato della loro esperienza a bordo della nave Aquarius, imbarcazione di soccorso dell’organizzazione umanitaria S.O.S. Mediterranée pubblicato proprio in questi giorni da Feltrinelli Comics. Un fumetto di realtà con un’anima di puro storytelling da scoprire a partire dalla viva voce degli autori.

Un progetto «forte», quello di un libro in «presa diretta», a bordo della Aquarius.

MR: Era un progetto che avevo in mente da un po’, perché con Lelio avevamo già affrontato in storie brevi e in un libro per bambini il tema dei migranti e dell’accoglienza, ma mai quello del «primo contatto». L’ho proposto a Tito Faraci quando, a maggio dello scorso anno, mi disse di essere stato incaricato di curare la collana di fumetti Feltrinelli che sarebbe diventata Feltrinelli Comics. Mi chiese di pensare a qualche proposta e la feci subito, incontrando subito il suo interesse.

Lelio Bonaccorso

Come vi siete rapportati rispetto ad altri lavori sullo stesso tema, da «Fuocoammare» di Rosi, a «Mediterraneo» di Sergio Nazzaro e Luca Ferrara, o ancora «Non stancarti di andare» di Radice e Turconi?  

MR: Solitamente non mi faccio molti scrupoli nell’evitare le influenze, anche perché divoro film, libri e fumetti sempre volentieri e non mi va di limitarmi. Del resto, ognuno ha la sua sensibilità e il proprio bagaglio di esperienze per potere affrontare diversamente un tema ampio come la migrazione. Il nostro libro si concentra su quel primo contatto e soprattutto vede noi come co-protagonisti. È un reportage dal posto, non una storia di fantasia, è una storia corale, non l’avventura di un singolo. Quello della migrazione è (ahinoi) un macrotema contemporaneo che può essere raccontato in tanti modi. Ne abbiamo scelto uno, sperando che sia utile.
LB: Immaginavo che avremmo assistito a delle tragedie, ma non credevamo fino a questo punto. Vivere il dolore di queste persone ha segnato la differenza nel libro; ci ha permesso di cogliere sfumature e aspetti che da terra ci sarebbero sfuggiti.

Per quale ragione avete scelto come voce narrante quella di un pettirosso. E come nasce la scelta di prender parte alla narrazione da protagonisti?

MR: A differenza di Zerocalcare o Joe Sacco, io e Lelio siamo due persone diverse con sensibilità e punti di vista diversi. Non potevamo usare né uno dei due come narratore onnisciente, né un misto tra noi due. Ci serviva qualcuno che «volasse» sopra la situazione, qualcosa di quasi surreale al punto da rivolgersi al lettore con dati e informazioni. Per la cronaca, quel pettirosso era davvero a bordo. La scelta di rappresentarci, invece, deriva dall’esigenza di mostrare che noi eravamo lì.

L’uso diegetico del colore, la vostra paletta colori «quasi» monocromatica, sono solo espedienti grafici dettati da tempi di lavorazione serrati come quelli che vi siete imposti o c’è dell’altro?

LB: Abbiamo adottato questa scelta stilistica appunto per trasmettere quelle emozioni forti ed immediate che abbiamo vissuto. Avevamo però bisogno di un colore che fosse fortemente simbolico: l’arancione, in mare è speranza, ovvero «la salvezza». Inoltre, spicca sulla tinta viola che ho usato per acquerellare le vignette.

Marco Rizzo

Una scommessa editoriale tanto inusuale avrà comportato un metodo di lavoro lontano dallo stereotipo dello sceneggiatore e disegnatore incatenati al tavolo da disegno.

MR: Non avevamo idea, una volta imbarcati, di come avremmo proceduto. Dovevamo metabolizzare le esperienze vissute. A bordo, Lelio ha fatto prove di stile, io ho preso appunti e registrato interviste, provando già a fare una prima selezione sulla nave. Poi abbiamo proceduto come al solito: un soggetto proposto all’editore e presto approvato, una sceneggiatura mandata da me a Lelio in brevi blocchi, tenendo un ritmo rapido. Volevamo essere vicini a quanto narrato per favorire l’effetto «reportage».
LB: Tutto è di fatto nato al rientro dal viaggio. I miei disegni e i testi di Marco si sono contaminati a vicenda.

Domanda trabocchetto: come proporre il vostro romanzo grafico a chi invece ha votato la destra xenofoba oggi prevalente nel nostro Paese e in altre parti d’Europa?

MR: Gli direi che ci sono un sacco di immagini. Scherzi a parte, credo che come successo in passato con altri nostri libri come Peppino Impastato o L’immigrazione spiegata ai bambini, il volume avrà una seconda vita nelle scuole. Spero così che siano gli studenti a leggerlo e magari a proporlo a casa, anche ai genitori razzisti. Noi ci siamo fatti portavoce di vicende reali, storie dalla forza tale (da sé, non per merito nostro) che prima o poi arrivano.
LB: Noi siamo dei narratori di storie. Abbiamo messo al centro quelle dei migranti, degli operatori e infine i dati. Il nostro obiettivo è che la gente che si avvicina a questo libro possa farsi un’idea, una propria opinione dopo aver letto queste vicende. Abbiamo anche scelto di non mettere filtri, di mantenere una posizione il più equilibrata possibile. Certo, che sulla vita di un uomo o di un bambino non credo si possa discutere o fare compromessi politici di sorta.