C’è un festival nato nell’ultimo decennio, radicatosi nel territorio e per questo resistente ai ritardi che la Puglia di Emiliano presidente sta subendo. Diretto da Francesco O. De Santis, il Festival Troia Teatro si conferma appuntamento unico del foggiano, capace di fare comunità intorno a un nucleo artistico frastagliato nelle tante forme che il teatro può assumere, compresi i tanti raduni in strada. Alle pendici del sub Appennino Dauno, con gli occhi persi sul Tavoliere verso il Gargano, «Tuttaun’altra Troia» si è vissuta.

Spettacoli diffusi ovunque per la tenacia dell’Unione giovanile troiana, impegnata nell’organizzazione insieme a Teatri35, il gruppo di De Santis con Gaetano Coccia e Antonella Parrella, incredibili icone caravaggesche in quei fermo immagine che sono i loro tableaux vivants. Nel Chiostro di San Benedetto, Labirinto, loro ultima opera, appare metafora dell’intero festival, con quell’affaccendarsi di corpi tra teli e drappi colorati, prima di bloccarsi in spot tridimensionali di celebri dipinti. Si pone in parallelo la via crucis di Gesù Cristo con un percorso interiore di «Sentimenti» in sintonia con il titolo di questa undicesima edizione.

E interiore è lo struggersi di Else, dall’omonima signorina di Schnitzler, che Nunzia Antonino, diretta da Carlo Bruni, lascia nel delirio dello scandalo non risolto dalla morte dell’originale. Else si agita in veste da notte su quella passerella puntellata di coppe di Veronal, con alle spalle uno trittico di specchi che ne dovrebbe moltiplicare all’infinito l’esposizione al pubblico ludibrio. Antonino, reduce da una memorabile Lenòr (Eleonora de Fonseca Pimentel, intellettuale eroina della Repubblica napoletana del 1799), nel nuovo monologo veste i panni di unaolle fanciulla invecchiata, ma lo spettacolo non entra nella cappa della finis Austriae e perde nel tentativo di attualizzare un testo che negli anni Venti del secolo scorso mise a «nudo» – come il corpo della protagonista – corruzione e crisi morale e culturale della classe borghese. Ne resta una prova virtuosistica che non convince, come pure Mamma – Piccole tragedie minimali di Matremo Teatro, vincitore del Premio Eceplast, per gli eccessi, qui più macchiettistici che virtuosi, delle quattro madri prese in prestito dalla scrittura carnale di Annibale Ruccello.

Al sesto concor fso organizzato nell’ambito di Troia Teatro, sono passati lavori forse più meritevoli di portarsi a casa la scrofa, antico stemma della città. L’albero di Nicola Conversano, novello contadino in lotta contro una società che sradica ulivi secolari per spettacolarizzarne la presenza in metropoli fumose. O Niente panico di Luca Avagliano ancora da centrare nella drammaturgia, ma forte della sua presenza scenica. In divenire ma cocente è la ricerca d’identità della Marcia lunga di Saverio Tavano, mentre concluso nella sua infinita riproducibilità è il video Faber navalis di Maurizio Borriello, l’opera più discussa nei talking about sulle scale della Cattedrale, sotto il suo magnifico Rosone. Vera vincitrice della scrofa troiana