«Non solo parole evocatrici dell’isola che non c’è, ma un piano di lavoro che attende di essere continuato», scriveva Benedetto Vecchi in conclusione del suo libro sul Capitalismo delle piattaforme (manifestolibri 2017). Di questo suo piano di lavoro, dei molti cantieri che nel corso degli anni aveva mantenuto aperti, troverete nelle pagine che seguono qualche esempio, qualche colpo di sonda nella vastità e ricchezza di un’attività di ricerca lunga decenni e migliaia di pagine.

È questo il solo caso di cui io sia a conoscenza dell’uso di un giornale quotidiano per portare avanti un lavoro così sistematico e continuativo di approfondimento e di alfabetizzazione al tempo stesso. Un discorso coerente che andava articolandosi di lettura in lettura, di intervista in intervista, nonché attraverso l’osservazione critica degli eventi, dei conflitti, dei fenomeni sociali e delle loro rappresentazioni.

Non vi è quasi nessuna analisi di un qualche rilievo prodotta negli ultimi decenni sul capitalismo contemporaneo, sulle metamorfosi del lavoro, sull’innovazione tecnologica e le sue conseguenze sociali, sulle «fabbriche dell’opinione pubblica» con la quale Benedetto non si fosse confrontato intensamente ponendosi nella scia della critica dell’economia politica. Così come con le più interessanti riletture di Marx e del pensiero critico classico.
Ma non era solo un panorama enciclopedico (già questo tutt’altro che semplice) quello che si proponeva di sottoporci negli articoli su questo giornale e sulle riviste, nei suoi libri e nei numerosi interventi pubblici.

E neanche un solitario lavoro di commento e interpretazione rivolto alla cerchia ristretta dei suoi interlocutori più prossimi. Le conoscenze che Benedetto andava raccogliendo ed elaborando avrebbero dovuto diventare strumenti di consapevolezza e di lotta. Avevano, insomma, lo scopo di rafforzare la soggettività dei movimenti e la capacità del lavoro vivo di organizzarsi contro le nuove forme dello sfruttamento e le gerarchie che le governano. Era soprattutto in questa chiave che Benedetto si sforzava di sottoporre a un costante esame critico testi, analisi e teorie. Sempre attento a «cogliere l’occasione», a illuminare i punti di rottura, le contraddizioni che l’accumulazione capitalistica non era in grado di padroneggiare, che non avrebbe potuto espellere dal suo stesso metabolismo. Nel corso di una partita sempre aperta, in ogni suo passaggio, a esiti diversi e antitetici. La mappa critica del capitalismo contemporaneo doveva insomma fare i conti con la dimensione del Politico.

E, in fondo, proprio la costruzione di una politica costituiva l’obiettivo di tanto meticoloso e appassionato lavoro di analisi. Per dirla con le parole di Benedetto, «abbandonare il concetto di moltitudine come categoria sociologica per ricondurla all’ambito che le è proprio, cioè al Politico, come possibilità alternativa a quella riduzione all’uno che è il popolo». È su questa strada che i suoi scritti ci invitano a proseguire.

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Cogliere l’occasione

Sulle pagine di questo giornale, Benedetto Vecchi ha proposto analisi e letture – come quelle qui raccolte – delle grandi trasformazioni che hanno riguardato il nostro tempo. Un «cantiere» aperto cui si ispira una giornata di studio in programma domani all’Esc

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