Ne ha viste di tutti i colori, il turchese del mare, il legno marezzato delle bare dei naufraghi, il rosso del fuoco nel centro d’accoglienza, il nero pesto delle notti passate con i migranti sul molo. Giusi Nicolini, da due anni sindaco di Lampedusa, ieri ha visto anche la faccia incolore del suo partito, il Pd, che prima l’ha corteggiata per convincerla a fare la capolista nella circoscrizione Isole e quando lei ha accettato, l’ha retrocessa al terzo posto. Al Nazareno martedì scorso, nel pomeriggio dei lunghi coltelli, Nicolini è stata sacrificata agli equilibri del partito. Avranno pensato che ha un buon carattere, che provenendo da Legambiente, al potere preferisca il potare.

Lo scorso luglio, quando a Lampedusa arrivò il Papa, Giusi, 53 anni il prossimo maggio, s’era ripromessa di mettere giù qualche riga per mandarla a memoria e riferirla all’ospite inconsueto. Ma quando dalla scaletta scese Francesco, riuscì a pronunciare solo due parole: «Santità, benvenuto». Non per timidezza o perché non aveva ripassato il discorso, ma per cedimento al bagliore delle emozioni: è la prima lezione del mare, quel mare che porta corpi estenuati e cadaveri, come i 366 morti dello scorso ottobre, allineati nell’hangar dell’aeroporto, perché qui, disse Nicolini, «non esiste una camera mortuaria refrigerata e non ci sono posti nel cimitero». Lo disse ai politici che sfilavano, lo scrisse in una lettera alle autorità di Bruxelles, invocando la creazione di un corridoio umanitario per consentire ai disperati di trovare salvezza.

Giusi è tutto quello che non era il suo predecessore, Bernardino De Rubeis, un omaccione corpulento che nutriva una viscerale passione per Berlusconi, accolto con le fanfare nel marzo 2011, mentre a Lampedusa settemila migranti vagavano sull’isola senza un letto e con poco cibo. Quel giorno Berlusconi, fresco proprietario di una villa acquistata su internet per poco più di un milione, promise un cargo di euro per Lampedusa, da spendere in alberghi e campi da golf. Giusi se ne stava zitta e con un certo spirito pratico si frappose tra il senatore del Pd Roberto Della Seta e un gruppo di scalmanati isolani che volevano picchiarlo per lo scarso entusiasmo che esprimeva la sua faccia davanti alle parole dell’allora premier. Forse proprio quel giorno si convinse a mettersi in gioco e candidarsi a sindaco. Ora l’isola sta imparando piano piano a non ascoltare più le menzogne. «Non è vero – ha detto ai suoi cittadini – che i migranti ci invadono. Ve lo dicono perché pensano che i morti siano un deterrente contro i flussi».

Avrebbe voluto portare a Strasburgo i temi dell’immigrazione e le questioni che riguardano l’area del Mediterraneo. Aveva manifestato l’intenzione al suo partito, ma per guardare oltre l’orizzonte bisogna essere un po’ marinai; e, si sa, nel Pd governano gli scout.