Raccogliere l’eredità di Nichi Vendola, governatore della Puglia dal 2005, non è cosa semplice. Non è un caso infatti che dentro il centrosinistra pugliese la battaglia tra i candidati alle primarie del 30 novembre, sia iniziata da diversi mesi. Favorito Michele Emiliano, sindaco di Bari per 10 anni, magistrato, assessore alla Legalità e alla polizia municipale senza portafoglio del comune di San Severo (Foggia). Nonché segretario generale del Pd in Puglia. L’altro candidato dell’area Pd è Guglielmo Minervini, attuale assessore regionale alla Protezione Civile. Infine c’è Dario Stefàno, senatore di Sel, naturale erede di Vendola. Nonché presidente della Giunta per le elezioni, le autorizzazioni e le immunità del Senato, relatore della pratica che ha portato alla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi.

Negli ultimi giorni la tensione tra i candidati dell’area Pd è salita vertiginosamente a causa delle tante regole presenti nello statuto del partito. Martedì l’assemblea regionale dei democratici avrebbe dovuto annunciare Michele Emiliano e Guglielmo Minervini come candidati alle primarie pugliesi di centrosinistra. Entrambi avrebbero dovuto presentare la propria candidatura corredata dal 35% di firme di membri d’assemblea. Emiliano ne aveva pronte 220 su 275 totali, mentre Minervini, da sempre contrario a questa regola, ha provocatoriamente incrociato le braccia, senza depositare alcuna sottoscrizione e abbandonando polemicamente l’assemblea.

Lo scontro sulle firme però, è del tutto strumentale: uno specchietto per le allodole dietro al quale si cela un’idea di fare politica del tutto diversa, dove si scontrano il vecchio con il nuovo. A testimoniarlo, la frase twittata post assemblea da Minervini ad Emiliano: «Le firme dell’assemblea tienile per te. Io le raccoglierò tra i pugliesi e nel popolo bello del centrosinistra». Del resto, se Emiliano rappresenta il candidato forte del partito, Minervini punta fortissimo su «La Forza» (il nome del movimento che lo appoggia) dell’altra Puglia. Centinaia di giovani imprenditori agricoli e tecnologici, attivisti di inclusione sociale, i giovani dei «Bollenti spiriti» delle idee finanziate dalla Regione: «una generazione che ci sta provando. C’è la Puglia che non si piange addosso, che non recrimina. Ma esige – ha detto Minervini -: lungi dal dire che tutto è stato splendido e roseo in questi dieci anni, un’esperienza di cui però mi sento protagonista. Dobbiamo migliorare, ma non si può descrivere tutto solo a tinte fosche». Dall’altra parte invece, per Minervini «c’è la forza fisica, quella degli apparati, degli interessi e delle truppe cammellate. Loro non sanno che quello che sta qui dentro è un detonatore che se esplode porta con sé tutta la Puglia. E se si parte non ce n’è per nessuno». Dunque giovani, nuovi investimenti, trasparenza, condivisione delle risorse, attenzione ai più deboli: questi i punti cardine elencati e descritti ai «cervelli non in fuga» che hanno partecipato alla convention di Minervini.

Dall’altro lato però, c’è appunto Emiliano. Che ha esperienza da vendere e vuole evitare a tutti i costi una guerra generazionale ed ideologica che sulla lunga distanza potrebbe vederlo sconfitto. Per questo il segretario regionale del Pd ha dapprima rinviato l’assemblea al 20 settembre. Appena due giorni prima del 22, quando scadrà il termine per la presentazione ufficiale delle candidature al Comitato organizzatore delle primarie. Poi ieri, ha scritto una lettera allo sfidante Minervini. Un testo da vecchia volpe della politica: nel quale da un lato ribadisce l’affetto per l’avversario («voglio dirti che ti voglio bene e che ho un gran desiderio di lavorare con te»), e dall’altro gli ricorda il rispetto per le regole «dello statuto e della linea politica che democraticamente ci siamo dati con le primarie». Per poi ricordargli chi è, ancora oggi, il più forte: «L’acclamazione che tu desideravi dall’assemblea era praticamente impossibile senza la formalizzazione della tua candidatura».

Difficilmente però, la frattura si ricomporrà. Minervini alla fine correrà da solo: per farlo, come da regolamento, gli serviranno 9.250 firme. Degli elettori e non dell’assemblea alla quale dovrebbe chiedere una candidatura in deroga: il salvacondotto offertogli da Emiliano e già rifiutato. Tra i due litiganti, resta nell’ombra il senatore di Sel Stefàno. Che al momento buono si giocherà la carta del suo grande amico Nichi Vendola.