Intanto una premessa: quando l’orrendo assalto guidato dai caporioni di Forza Nuova ha devastato la sede vuota della Cgil a Roma ho condiviso ovviamente l’esigenza di reagire adeguatamente, ma non mi hanno convinto tante affermazioni basate sul rischio di un «ritorno» del fascismo, con tanto di analogie alla violenza squadrista che precedette, negli anni ’20, la presa del potere di Mussolini, prendendo a bersaglio le Camere del Lavoro, i giornali di sinistra, i singoli militanti e esponenti dei partiti legati al movimento operaio, o anche solo coerentemente liberali.

Questo non vuol dire che non si debba stare in guardia verso tutto ciò, a cominciare dal linguaggio, e arrivando ai meccanismi più o meno tecnologizzati di controllo e di disciplinamento, che minaccia seriamente le libertà che ogni democrazia dovrebbe saper garantire.

La situazione di rischio è seria: ieri sul Corriere della sera Massimo Gaggi scriveva in modo molto allarmato dei «pericoli che corre l’America», dove la metà del sistema democratico rappresentato dal partito repubblicano ormai quasi completamente «trumpizzato», è impegnata a preparare una rivincita contro Biden ricorrendo a ogni sistema per limitare il diritto di voto degli strati sociali e delle minoranze etniche che potrebbero contrastare Trump.

Ormai la soglia che separa la lotta politica, per quanto dura, da una qualche sorta di «tecnica del colpo di Stato» sembra ridursi sempre di più. E se questo accade nella «più grande democrazia del mondo» non c’è da stare tranquilli da nessun’altra parte dello stesso, sempre più piccolo, pianeta.

La leader dei Fratelli d’Italia Georgia Meloni, riconosciuta e corteggiata in questi giorni da tutti gli esponenti politici, da Letta a Renzi, Conte, con l’aggiunta significativa del capo di Confindustria Bonomi ecc. ha subito incassato le cortesie affermando abbastanza rudemente che vuole «un capo dello Stato che fa gli interessi della Nazione e non del Pd. Noi vogliamo un patriota». Ha poi detto che Berlusconi sicuramente lo è, mentre su Draghi non ha «ancora elementi». Troppi «dossier» economici aperti. Ma Meloni sa già che Palazzo Chigi è «l’ufficio stampa dell’Eliseo» mentre Letta è il «Rocco Casalino di Macron».

Certo, è stato forse giusto affermare che sarebbe meglio un accordo anche con l’attuale opposizione per eleggere il nuovo presidente. Ma la leader di Fratelli d’Italia ha sentenziato in poche battute che Mattarella, come altri predecessori, è fazioso pro Pd, che Draghi e Letta sono traditori che fanno comunella col nemico francese, e ha poi aggiunto che «bisogna uscire dal pantano dell’attuale sistema di elezione del capo dello Stato per entrare in una Repubblica presidenziale».

Umberto Eco, parlando il 25 aprile del ’95 a studenti americani aveva descritto le parole che caratterizzano l’«Ur-fascismo», il «fascismo eterno» che non va individuato solo in chi sventola svastiche e cita Mussolini, o si abbandona a atti vandalici contro i sindacati. Tra le molte di queste parole ricordo l’opposizione ai «governi parlamentari», e la retorica nazionalista: «A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese».

Il direttore del Domani Stefano Feltri ha chiesto ai tanti politici (e giornalisti) che hanno interloquito con Georgia Meloni alla festa di Atreju se davvero volessero «legittimarla così».

Preferisco le buone maniere, soprattutto tra chi rappresenta democraticamente gli elettori e le elettrici. Ma senza ignorare o sottovalutare i discorsi che alimentano una cultura antidemocratica.