Europa

«Un passo avanti, ma è troppo presto per cantare vittoria»

Il sociologo Alexander Afouxenidis La crisi ha messo fine al vecchio modello politico, ma i partiti continuano a comportarsi come se niente fosse. La vera sfida sarà riformare i ministeri del Lavoro e degli Interni

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 19 agosto 2018

Conto alla rovescia. In un clima per lo più d’indifferenza generale – come se ci si abituasse a tutto, all’austerity come al caldo afoso -, il prossimo 20 agosto Atene uscirà dai programmi di salvataggio economici. Dal 2010 ha ottenuto 275 miliardi di euro, dovrà restituirli in dieci anni. Fine dei Memorandum? Ufficialmente sì, gli effetti invece no, quelli non hanno i giorni contati e si fanno ancora sentire. Bye bye Troika? Forse chissà, magari un giorno ci si rivede. E se sarà davvero addio o solo arrivederci lo abbiamo chiesto ad Alexander Afouxenidis, sociologo politico presso il Centro Nazionale della Ricerca Sociale di Atene.

Professor Afouxenidis, siamo veramente a un passo dalla svolta?
Non canterei vittoria ma qualche risultato lo portiamo a casa. Due gli aspetti positivi: l’uscita dai programmi di salvataggio e la parziale riduzione del debito con la dilazione di pagamento su prestiti, interessi e ammortamenti. Nessun cambiamento epocale, quello semmai è avvenuto nel 2015 con il referendum di luglio e le elezioni di settembre. Da allora il clima più disteso con i creditori ha gettato le basi dell’accordo, con il beneplacito finale sia dell’Europa sia del parlamento greco. Se diventeremo un’economia sufficientemente competitiva non possiamo prevederlo ora. Sicuramente senza la pressione della Troika, il governo greco avrà maggiori margini di manovra.

Mi sta dicendo che la Grecia riprende la sia sovranità? Non le sembra un’affermazione un po’ forte?
Non ho detto questo. Di certo dopo otto anni il governo tornerà in una posizione dominante nella definizione delle politiche economiche e finanziarie del paese. Parlare di un ritorno alla sovranità è più complicato a causa della complessità del termine, almeno così come viene dibattuto sia a destra sia a sinistra a livello globale. La Gran Bretagna – come di recente anche l’Italia – reclama la sua sovranità nazionale ma le economie globali e locali sono talmente intrecciate che nei fatti è un concetto buono solo per la propaganda. Avendo mantenuto un atteggiamento tutto sommato realista su cosa poteva e non poteva fare, almeno su questo Syriza è riuscita a rimanere immune dal contagio populista. Magari è stato difficile da digerire per chi, da sinistra, nutriva aspettative per un cambiamento radicale, sebbene fosse chiaro sin dall’inizio che non sarebbe avvenuto. Devo dire che finora neanche Nea Democrazia è scaduta in discorsi di facile presa. Rispetto al 2010-2014 la situazione è cambiata e la stabilità politica in questo momento conviene a tutti.

Quindi niente elezioni anticipate?
Credo proprio di no. La stessa opposizione difficilmente riuscirebbe ad ottenere una maggioranza. Al massimo si può pensare a un election day con le europee a giugno 2019, anticipando di qualche mese la scadenza naturale di Tsipras.

In termini di vita reale, come sta la Grecia oggi?
Più o meno uguale a prima e la situazione rimarrà così a lungo. Ragionare in termini di meglio o peggio non ha senso perché è difficile fare un bilancio. L’economia ha dato piccoli segnali di ripresa mentre i dati sull’occupazione restano drammatici, sebbene non così diversi in fondo da Spagna, Italia e Gran Bretagna. Le classi medio-alte erano e rimarranno in una posizione di forza. A differenza degli altri paesi europei, la crisi greca non è stata scatenata dalla bolla speculativa immobiliare e, anzi, chi aveva una casa è riuscito a sopravvivere. Negli ultimi due anni airbnb, ad esempio, ha conosciuto un’espansione clamorosa. Chi è finito per strada invece ci è rimasto e difficilmente riuscirà a venirne fuori. La vera domanda è cosa il governo intenderà fare con questa gente e quali sono le priorità per lo sviluppo economico e di welfare.

Ecco, quali sono? Ce la farete a ripagare il debito?
L’intero sistema finanziario globale si basa sul debito e ovunque ha mostrato grandi debolezze. Il problema non è economico ma politico. E non intendo questo o quel governo ma il tema della governance in generale, ossia il meccanismo che regola il funzionamento dello Stato e di tutte sue componenti, dalla scala più bassa fino ai livelli decisionali in alto. Se l’economia greca sarà messa in condizione di crescere dipenderà dalle infrastrutture che finora si sono rivelate inadeguate. La stessa Syriza ha fatto ben poco, introducendo poche e mal coordinate novità. Durante la crisi economica la società civile si è messa in moto e le strutture di solidarietà hanno funzionato, lo stesso non può dirsi per le autorità e le amministrazioni locali. L’incapacità dello Stato ad affrontare situazioni di emergenza, si è visto benissimo nel 2015 con la crisi dei rifugiati, gestita principalmente dall’Unhcr e non dal governo.

Cosa si sente di suggerire in merito?
Nell’immediato c’è da augurarsi che vengano mantenute le promesse sull’aumento del salario minimo. Per il resto sono cambiamenti culturali che richiedono tempo, tra i venti e i trenta anni. La crisi ha decretato la fine del vecchio modello politico mentre la maggior parte dei partiti continua a comportarsi come se nulla fosse. E non mi riferisco alla corruzione o al clientelismo, ma a come l’intero apparato statale funziona. E’ ancora lento e troppo burocratico, per stare al passo con i tempi necessita di maggiore flessibilità e adattabilità. Non siamo soli, anche l’Italia soffre degli stessi problemi. Per ripartire davvero devono essere avviate riforme strutturali in tre ministeri chiave: educazione, lavoro e interni. Dal 20 agosto sarà questa la vera sfida.

Cosa hanno lasciato dieci anni di crisi?
La consapevolezza di essere esposti alla precarietà quale condizione generale di vita. Dal lavoro alle relazioni. Il mondo è crollato addosso anche a chi ha sofferto meno la crisi. Mai come negli ultimi dieci anni poi la politica è entrata in maniera attiva e diretta nella quotidianità delle persone. La crisi dei rifugiati ne è stata un esempio. La società greca si è messa in moto in maniera molto veloce e con non poche prostrazioni a livello psicologico. Di fatto abbiamo vissuto una crisi nella crisi.

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