«Se la vita non la vivi non la scrivi». É la frase che sosteneva di aver detto Luciano Vincenzoni, ideatore e sceneggiatori di capolavori come La grande guerra di Mario Monicelli, Il buono, il brutto , il cattivo di Sergio Leone, Signore e signori di Pietro Germi, a un grosso papavero dell’Fbi per giustificare certe amicizie pericolose di mafiosi italoamericani in quel di New York. Vera o falsa che fosse la frase, certo Luciano Vincenzoni, nato a Treviso nel 1926 e morto a Roma pochi giorni fa, la sua vita l’aveva vissuta fino in fondo e l’aveva messa in scena in circa settanta film, quasi tutti di grande e grandissimo successo, che scrisse, tra il 1956, l’anno del suo primo soggetto, Hanno rubato un tram, diretto da Aldo Fabrizi, e il 2000, l’anno del suo ultimo soggetto, Malèna, diretto da Giuseppe Tornatore e per lui causa di non pochi mal di pancia.
Titoli che vanno dai capolavori di Pietro Germi, Il ferroviere, Sedotta e abbandonata e Signori e signore, a quelli di Sergio Leone, Per qualche dollaro in più, Il buono il brutto, il cattivo, Giù la testa, da Crimen e Briganti italiani di Mario Camerini a Avanti! (Cosa è successo tra mio padre e tua madre) di Billy Wilder, da Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri a Il gobbo, La vita agra e Roma bene di Carlo Lizzani. Ma Vincenzoni è anche un maestro a giocare tra i generi, a reinventarseli. Pensiamo ai suoi western, a quelli scritti per Leone e a titoli come Il mercenario di Sergio Corbucci e Da uomo a uomo di Giulio Petroni. O alle sue commedie Noi donne siamo fatte così di Dino Risi,Piedone lo sbirro di Steno, Il conte Tacchia e Il bestione di Sergio Corbucci, Miami Supercops, Casablanca, Casablanca. E ai suoi avventurosi popolari come I due nemici di Guy Hamilton, Uomini duri di Duccio Tessari, L’orca assassina di Michael Anderson o Codice magnum con Arnold Schwarzenegger.
In mezzo una vita avventurosa, passata tra Roma e Hollywood, perché è stato uno dei pochi sceneggiatori italiani davvero riconosciuti in America, dodici storie vendute alle majors, anche se non tutte realizzate, grandi storie d’amore, come quella con Ava Gardner, grandi amicizie, come quelle con Billy Wilder, Pietro Germi e Sergio Leone, il suo co-sceneggiatore Sergio Donati, un libro di memorie, Il falso bugiardo, uscito nel 2008. E, negli ultimi anni, un po’ di malinconia per non vedere più un cinema italiano forte e rispettato internazionalmente come lo era fino agli anni 70. Dopo anni di Hollywood, ritornare qui lo aveva un po’ depresso, come diceva nelle ultime interviste: « Lì i miei amici erano Walter Matthau, Frank Sinatra, Kirk Douglas, Billy Wilder… Le donne erano la figlia di Sinatra, le attrici… Sono venuto in Italia e per voi un attore è Abatantuono. Mi ricordo, ero appena arrivato a Roma e un mio collega, Sergio Donati, con cui ho fatto molti film, mi ha portato al cinema: vieni a vedere, c’è un film in via Cola di Rienzo. Era un film con Abatantuono: dopo venti minuti ho detto, torno in America. Mi è passata la voglia di scrivere film e mi sono messo a scrivere per i giornali. Per chi scriverei? Non ci sono i registi, non ci sono i produttori, non c’è più nessuno».
Erano lontani i tempi di quando ancor giovane, senza i soldi per pagarsi il taxi, si poteva presentare da Dino De Laurentiis e in due ore raccontargli tre soggetti, La grande guerra, I due nemici e Sacco e Vanzetti. «Prese tutti i miei soggetti e mi chiese: ’Quanto vuoi?’ Io pensavo a due-trecentomila lire per tutti, ero in arretrato con l’affitto, ma non avevo il coraggio di dire una cifra, allora lui si è rivolto all’avvocato Borgognoni che era lì e gli disse: ’Intanto compriamo i soggetti a un milione l’uno e poi lo mettiamo sotto contratto per qualche anno a un milione al mese’. La mattina dopo avrei firmato un contratto di tre anni e sulla porta mi sono ricordato che non avevo i soldi per pagare il taxi e dissi che avevo qualche problema di contante… Lui chiamò un tale ragionier Bianchi (c’è sempre un ragionier Bianchi) e gli chiese quanto c’era in cassa, due milioni e trecentomila avanzate dalle paghe di Jovanka e le altre… ’Vabbé, piglia due milioni e dalli a questo ragazzo’».
Per Vincenzoni il cinema non è stato solo scrittura o produzione o semplice lavoro. Soprattutto grandi incontri e grandi progetti. Aveva contatti con i produttori del tempo, come Robert Haggiag, proprietario della Dear Film, eminenza grigia del nostro cinema del dopoguerra, col quale mise in piedi il suo film più personale, Signori e signore diretto da Pietro Germi, ma basato sulle storie e sui personaggi della sua città natale, Treviso. O come Ilya Lopert, presidente della United Artists, col quale trattò per conto di Sergio Leone un film come Il buono, il brutto, il cattivo, che è più o meno un remake del suo La grande guerra. Geniale nel riciclaggio di storie precedenti, ma non è forse questo gran parte del gioco del cinema?, ritroviamo la sua trama de I due nemici con Alberto Sordi e David Niven in molti dei film di coppia che scrive per Corbucci negli anni successivi.
Vincenzoni mette insieme i progetti, fa da ponte tra produttori e registi, compone gruppi di sceneggiatori, come quando chiama Age e Scarpelli alla corte di Leone, offre all’amico Ennio Flaiano una co-sceneggiatura per Haggiag, ma gioca sempre tutto in prima persona. Come un producer americano. Attraversa i generi, peplum, commedia, western, con assoluta tranquillità, e al tempo stesso passa da Petri a Corbucci, da Leone a Lizzani, da Germi a Steno, da Salce a Castellari, credendo sempre nel cinema come arte popolare. Il più hollywoodiano dei nostri sceneggiatori e l’unico in grado di fare del cinema epico (non si chiamava Epic la sua piccola casa di produzione che aveva messo in piedi quando aveva solo 22 anni?) anche con budget ridicoli. Pronto a riscrivere generi dati per morti, come accadde per I paladini di Battiato, o a buttarsi di peso in generi emergenti, come per L’orca assassina. Il più grande dei revenge movie dei nostri western, Da uomo a uomo, che funzionerà da soggetto-base per un capolavoro come Kill Bill, gli deve tutto. Storia e sceneggiatura, ma anche la struttura leoniana, che altri non è, lo sappiamo bene, che una rilettura all’italiana del capolavoro di Raoul Walsh, Notte senza fine.
Ma è lo spaghetti western di Vincenzoni e Petroni che ha in mente Quentin Tarantino quando scrive Kill Bill, non quello di Walsh.Tarantino inserirà poi tra i suoi spaghetti western più amati altri due film scritti da Vincenzoni, cioè Il mercenario diretto da Corbucci e, ovviamente, Il buono, il brutto, il cattivo.
Combattivo fino all’ultimo, per Malèna, Lorenzoni ebbe un lungo contenzioso con il regista, Giuseppe Tornatore. «Ho dovuto chiamare degli avvocati e fare una causa. Adesso c’è il mio nome, ma mi vergogno, perché il film è brutto. Lui è riuscito a copiare il mio soggetto, rovinandolo. Io ho esperienza di questo mondo. Tanti anni fa, cinquanta, sessanta, quando avevo fame, una sera un produttore, si chiamava Franco Villani, mi ha dato da leggere una brutta sceneggiatura. Mi disse di averla pagata trecentomila lire, allora una cinquecento ne costava quattrocentoottanta. Era il film dove ho fatto l’attore. Mi hanno offerto centomila lire al giorno per ventiquattro giorni. Mi diede un acconto, io andai da Rosati e lì c’erano quei tre, quattro miserabili come me. Io ho detto: ’Ragazzi, mi è andata bene. Vi invito tutti a cena, andiamo da Gigi Fazi’. Allora era il ristorante più in di Roma. Siamo andati da Fazi e io ho speso metà delle cinquantamila lire di acconto. Verso le due di notte mi telefona il produttore: ’Ma che persona sei? Ti ho fatto un contratto e tu sei andato a cena e hai parlato malissimo del film!’. ’Io non sono uno che fa queste cose – replicai – ma chi te l’ha detto?’. Alle prime, non voleva dirmelo. Il giorno dopo andai da Rosati, trovai il produttore e gli intimai di dirmi chi mi aveva calunniato, altrimenti non avrei fatto il film e gli avrei restituito la parte di acconto che mi restava. A un certo punto vidi un tale che aveva partecipato alla cena, nascondersi dietro a un’edicola appena mi vide mentre camminavo con Villani. Capii che era stato lui e lo afferrai per la cravatta. Gli ordinai di dire tutto quello che avevo detto e ritrattò tutte le sue menzogne. Questo è il mondo del cinema. Ho dovuto fare delle lotte tremende, perché sono un uomo leale. Eccomi qua. Ho combattuto. Sempre. A sedici anni ero partigiano!».