«Ugo accende la Flos della scrivania e apre un plico con la lettera di un politico che raccomanda l’accluso manoscritto («tratta bene il testo qui compiegato, se lo merita») – è la storia, pare, di alcuni ragazzi di strada napoletani riscattati dal teatro, che hanno formato una compagnia coi soldi della Regione e fanno tournée. Ah ecco, sostituire una irrealtà con un’altra irrealtà, sublime pensata! (…) Ugo crede di incazzarsi contro la retorica del bene mentre è proprio con l’idea del bene in se stesso che ce l’ha, perché qualsiasi miglioramento lo offende. (Qualcuno che ti apra le braccia senza tornaconto, un’ipotesi che non ha mai preso in considerazione)».

Citazione un po’ lunga, ma esemplare; il brano che avete appena letto lascia infatti intravedere i tre strati principali che compongono il libro da cui è tratto, Bontà, di Walter Siti, appena uscito per Stile libero Big (pp. 136, € 13,00). A un primo livello, Bontà si offre come apologo sull’Italia contemporanea, intesa come laboratorio dell’irrealtà ingannevole e del miglioramento impossibile. Da un lato false ipotesi di liberazione, dall’altro negazioni piene di rancore: un paese in cui più nessuno è contento di se stesso.

Il punto di vista di un fallito
Due frustrazioni, in particolare, si confrontano: quella di Ugo, il protagonista, anziano direttore editoriale alle soglie della pensione, anaffettivo e inappetente, roso dal cinismo e dalla solitudine; e quella dei giovani editor che stanno per prendere il suo posto, tecnocrati dell’illusionismo consolatore, anestetizzati dalla competizione. Il vecchio Ugo, con senso del tragico, ha deciso di morire, per eccesso d’infelicità e di cattiveria (che lui però scambia per saggezza e serietà: «sono l’unico maturo in quella baracca»). La maturità invece ai giovani non interessa: antitragici per mancanza di gerarchie, all’autoanalisi preferiscono l’inconsapevolezza («Sono loro che confezionano i racconti, o sono i racconti che confezionano loro?»).

Dopo aver soffocato la sua giovanile vocazione letteraria, Ugo progetta un «poema d’azione» che consiste nel farsi uccidere da un giovane killer prezzolato: il tema centrale di Bontà è quello del parricidio, e più in generale del tradimento, dalle chiare implicazioni sociologiche. Ma la defezione che racconta è anche e soprattutto culturale.

A un secondo livello, infatti, Bontà azzarda una riflessione sulla letteratura che si scrive oggi, e sull’uso che oggi ne facciamo. Ambientato nel mondo dell’editoria, contiene tre virtuosistici pastiche di scritture alla moda. Ugo si erge a giudice di un’arte ormai ridotta a mezzo («uno strumento per confermare, non un acido per corrodere»); innesco spettacolare di pronto consumo, subalterno alla comunicazione multimediale, senza più organici rapporti con la lingua e con l’inconscio. Ma le parole di Ugo non vanno prese alla lettera: il suo è il punto di vista di un fine letterato e di un sottile critico della cultura, ma anche di uno scrittore fallito, accecato dall’impotenza e dal livore. Bontà non si ferma alla parodia della letteratura che gira a vuoto, cerca anche di scoprire – ed è il suo aspetto più stimolante –- quel che non vogliamo leggere nei libri.

Le molteplici scissioni che Ugo incarna (e se la famosa autofiction di Siti, uscita dalla porta dei suoi romanzi, rientrasse così dalla finestra?) ci portano al terzo e decisivo livello. Bontà aggiunge una tessera nuova, solo apparentemente ‘minore’, a un mosaico narrativo in cui, posto il filo comune di una «storia del desiderio» degli ultimi decenni, ogni elemento integra e rovescia le acquisizioni precedenti.

Libri che reagiscono ai precedenti

Siti ha deciso di reagire a quella che gli sembra una cultura in agonia impuntandosi a comporre opere d’arte dense, complesse e contraddittorie, in sfida costante con se stesse: gli esiti potranno risultare alterni, ma costante è la volontà di riflettere, aggredire, lasciarsi parlare. Bontà reagisce, visibilmente, a Bruciare tutto, dello scorso anno, alla sua mortale serietà e alla sua polemica accoglienza: lì i suicidi angosciosi del prete e del bambino, in una tragedia della disintegrazione, qui un progetto derisorio di suicidio che sfocia in una libertà paradossale. Ma chi conosce l’opera di Siti saprà riconoscere in Bontà, tra le molte citazioni allusive, numerosi altri rimandi, e rettifiche, ai suoi libri precedenti (per tacere di quelli altrui), da Scuola di nudo a Autopsia dell’ossessione, fino all’ultimissimo Pagare o non pagare, saggio sull’economia del gratis che si concludeva con l’immagine di Siti baciato per scommessa sulla guancia da una ragazza di passaggio in un parco.

Il finale di Bontà torna a proporre un vecchio salvato da una ragazzina: la posizione di partenza ne risulta rovesciata. Per arrivare a supporre che «il paradiso sono gli altri» è stato necessario attraversare molti inferni.