La crisi politica boliviana non si placa. L’autoproclamato governo di Janine Añez mostra con forza il progetto golpista: invece che un governo di scopo è immediatamente diventato un governo politico e ha dato libertà d’azione all’esercito nelle strade.

Le proteste contro questo governo non si placano. In piazza non ci sono solo i simpatizzanti del Mas e di Evo Morales, ma un insieme di forze sindacali e sociali che rifiutano l’attuale esecutivo ma considerano il governo Morales responsabile di errori e tradimenti. Tra questi il movimento femminista, che ha risposto alla militarizzazione e alla violenza chiamando e organizzando il «parlamento delle donne indigene». La sua fondatrice è Maria Galindo.

Ha paura per il possibile futuro della Bolivia?

Certo che ho paura. Ho paura perché vivo in Bolivia e perché lotto. Quella boliviana è di per sé una società molto complessa e il processo di fascistizzazione che stiamo vivendo usa l’omofobia, il razzismo e la misoginia come strumenti. Noi siamo donne molto attive e molto in vista, nello specifico io sono stata minacciata molte volte così come diverse volte sono stata bersaglio dell’odio. Il processo di fascistizzazione è molto grave sia a livello personale che a livello sociale.

Come si sta sviluppando la questione femminista rispetto ai recenti fatti?

Pretendiamo dal governo Añez l’immediata smilitarizzazione del paese e un tavolo di dialogo basato sull’assemblea legislativa, composta da una maggioranza di rappresentanti del Movimento Al Socialismo e della società civile. Stiamo continuando a organizzare il «parlamento delle donne» in regioni di conflitto, come faremo a Cochabamba – domani – proprio dov’è stato perpetrato il massacro contro il movimento campesino. In futuro faremo lo stesso a Santa Cruz, dove sta il nodo del problema: il governo di Janine Añez è controllato da Fernando Camacho, presidente del Comitato Civico «Pro Santa Cruz», che rappresenta una serie di interessi che noi critichiamo e che è co-responsabile, con Morales, del recente ecocidio vissuto dalla società boliviana nei mesi di agosto e settembre.

Esiste una relazione tra il «parlamento delle donne» e le donne indigene?

Il parlamento delle donne è una strategia e una metodologia politica, è aperto a tutte le donne, di qualsiasi provenienza. Nelle sedute che abbiamo organizzato hanno partecipato, tra pubblico e oratrici, il 50% di donne che si riconoscono come indigene e molte di loro hanno parlato in aymarà o quechua, come si può vedere facilmente dai video online. Nessuna donna, anche se indigena, può parlare a nome delle «indigene del paese» e lo stesso vale per una trans o una lesbica. L’interessante del parlamento delle donne è la presa di parola in prima persona, senza costruire rappresentazione. Qui sta uno dei problemi fondamentali della democrazia liberale rappresentativa, che ha usato le identità per generalizzare, omogenizzare, e ha permesso ad alcuni dirigenti politici, uomini o donne che fossero, di attribuirsi la rappresentazione di interi settori. Nel parlamento delle donne chi parla lo fa per sé stessa e basta.

La Bolivia è totalmente polarizzata tra militanti del Mas e della destra, o esistono forze sociali diverse in campo?

Questa è la semplificazione che da fuori il paese si vuole mostrare. Noi stiamo proprio facendo il parlamento delle donne per rendere visibile l’esistenza di molti risvolti e di molte sfumature. Stiamo parlando di una crisi politica profonda, che presenta diversi scenari. Ora ci sono problemi in ogni organizzazione sociale del paese. Morales, già da tempo, aveva costruito alleanze suicide con la destra latifondista e con settori della società fondamentalisti e reazionari. Evo ha autorizzato la candidatura, alle elezioni passate, di Chi, pastore coreano evangelico padrone di un’università privata a Santa Cruz. Chi ha dato a Evo Morales un dottorato honoris causa. Chi ha partecipato alle elezioni portando un discorso misogino, omofobo, e anti-pachamama. Le cose sono molto complesse e noi non vogliamo perdere la complessità. Pensiamo sia possibile criticare il governo che si è costituito illegalmente, perché razzista e fascista. E al tempo stesso denunciare le responsabilità del governo di Morales per la crisi politica che oggi vive tutta la società boliviana.