«I tre leader del movimento verde d’opposizione non hanno commesso alcun reato e infatti non c’è stato un processo, e poi in questo momento è indispensabile serrare i ranghi per colmare il divario tra il popolo e la politica».

È con queste parole che Jamileh Kadivar, deputata riformista al tempo di Khatami, spiega la decisione del Consiglio supremo della Sicurezza Nazionale di liberare Mir-Hossein Mousavi, sua moglie Zahra Rahnavard e Mehdi Karrubi. Il loro rilascio, annunciato dal figlio di Karrubi, era stato uno degli slogan elettorali del presidente Hassan Rohani, nel 2013.

Ora, a dire l’ultima parola sul loro destino sarà l’ayatollah Khamenei, la guida suprema a cui spettano le decisioni importanti: avrà dieci giorni di tempo per approvare, o esercitare il diritto di veto. Esponente di punta del movimento verde, Jamileh Kadivar era stata il braccio destro di Karrubi durante le elezioni del 2009 e vive in esilio a Londra.

I tre leader del movimento verde d’opposizione sono agli arresti domiciliari dal 14 febbraio 2011, ovvero da quando avevano osato chiedere l’autorizzazione per dimostrare a favore delle primavere arabe. Un’occasione che si sarebbe potuta trasformare in protesta, dopo le contestate elezioni in cui l’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad aveva ottenuto un secondo mandato presidenziale. Non perché avesse ottenuto più voti, ma per i brogli.

Gli iraniani erano scesi in strada chiedendo «dov’è il mio voto»? Al polso i braccialetti verdi, sulla fronte bandane della stessa tinta. Il verde: colore del profeta Maometto e della sua famiglia, e quindi anche di Mir-Hossein Mousavi, il cui titolo Mir-Hossein è, per coloro che provengono dalla regione dell’Azerbaigian, l’equivalente di Seyed (che vuol dire appunto discendente di Maometto).

Dalle proteste del 2009 molto è cambiato. Se quelle manifestazioni di piazza avevano una motivazione politica ed erano partite dalla capitale Teheran per diffondersi in altre località prevalentemente urbane, le proteste di fine 2017 e del 2018 sono state invece scatenate da ragioni economiche in un’ottantina di cittadine sparpagliate nel paese.

Rispetto al 2009, oggi gli iraniani sono più scettici nei confronti delle manipolazioni della fede da parte di un certo clero sciita: nel 2009, quando il ministero degli Interni aveva reso noto che a vincere quelle elezioni non era stato Mousavi ma Ahmadinejad, il direttore della scuola seminariale di Qum Morteza Moqtada aveva dichiarato che l’esito era stato «approvato e confermato dall’Imam nascosto e da Dio e non ci sono problemi in proposito». E l’ayatollah Mesbah Yazdi, mentore di Ahmadinejad, aveva aggiunto che l’Imam nascosto vegliava su di lui.

È da quel momento che numerosi cittadini della Repubblica islamica si sono allontanati dalla religione e rifiutato l’Islam politico, che è la base ideologia del velayat-e faqih, il governo del giureconsulto. Un fatto che mette in allarme le autorità, perché traggono legittimità dall’essere i vicari dell’Imam.

Consapevoli del pericolo e del distacco degli dalla religione (le moschee dell’Iran sono le meno affollate del Nord Africa e del Medio Oriente), ayatollah e pasdaran mettono l’accento sul nazionalismo per tenere il popolo unito. In questo senso, le invettive del presidente statunitense Donald Trump fanno il loro gioco: di fronte alla minaccia esterna, il consenso si coagula attorno alle autorità.

Se ora il Consiglio Supremo ha approvato la scarcerazione dei leader del movimento verde, è proprio perché i tempi sono cambiati: se nel 2009 faceva comodo alle stesse autorità dare l’impressione che potesse esserci una qualche alternanza tra conservatori e riformisti, tra destra e sinistra, ormai i problemi da risolvere sono ben altri.

L’accordo nucleare mandato a monte da Trump, la stagflazione (bassa crescita e alta inflazione), l’isolamento finanziario (le banche sono escluse dai circuiti internazionali), la svalutazione del rial. Solo dando l’impressione che il regime sia unito di fronte alle avversità può portare ad abbassare i toni. Ma la soluzione dei problemi dell’Iran non sta di certo nella liberazione dei leader del movimento verde.