La lezione del freddo di Roberto Casati (Einaudi, pp. 184, euro 18) non narra avventure meravigliose, non mette in scena personaggi fantastici, non ci stupisce portandoci in mondi sconosciuti. Al contrario, è il fedele resoconto di un anno accademico passato dall’autore a insegnare al Dartmouth College, nel New Hampshire, insieme alla moglie Bea e alle due figlie piccole.
Il grosso del libro copre ciò che nelle università americane viene ingannevolmente definito «Spring semester» benché di primavera ce ne sia assai poca, anzi nulla del tutto, perché il semestre inizia ai primi di gennaio e finisce a maggio, quando le giornate sono più lunghe ma molto spesso c’è ancora la neve sui prati.

MALGRADO LA «NORMALITÀ» della situazione e del racconto (problemi di riscaldamento, di viabilità delle strade, di rapporti con i vicini) quello di Casati, che da anni insegna a Parigi all’Ecole normale supérieure, è un vero conte philosophique nella migliore tradizione di Voltaire e Swift.
Le lezioni che offre al lettore sono molte e preziose: parecchie pagine sono dedicate al riscaldamento della vecchia casa con il tetto di lamiera che la famiglia ha in affitto: c’è una potente stufa a legna ma nient’altro. Questo significa raccogliere la legna nel bosco, tagliarla, impilarla, capire qual è il modo giusto di usare il combustibile, oltre a ingegnarsi per avere un po’ di calore nelle camere da letto riempiendo d’acqua calda delle pesanti pentole di ghisa e sistemandole sotto i letti, dove l’inerzia termica dell’acqua garantirà un piacevole tepore per almeno metà della notte.

Usando una stufa, scrive Casati, «tocchi con mano i costi della tua sete energetica. In questo modo almeno capisci che cosa vuol dire avere uno stile di vita che richiede tanto combustibile; il che magari non ti capita quando con una telefonata fai venire l’autobotte a riempirti la cisterna; ignorando quello che c’è dietro il clic, tra cui, lista non esaustiva: costruzione di autobotti, posa di oleodotti, trivellazione in mare aperto, ancoraggio di petroliere, finanziamenti statali nascosti, soldati e guerre ovunque a proteggere la filiera. Capire fino in fondo perché si soffre a tagliare un albero, e non a convocare il petrolio distante contribuendo a distruggere, in un brevissimo anno, un milione di anni di riserva di carburante fossile».

SE LA STUFA A LEGNA permette di toccare con mano i costi della bulimia energetica, il freddo in generale rivela brutalmente i limiti del nostro modello di vita: occorre essere prudenti (una tempesta di neve può scoppiare all’improvviso cancellando ogni traccia del sentiero di ritorno), capire la natura (nei boschi è più facile incontrare un orso che un bar dove bere il cappuccino) e, soprattutto, aver fiducia nei vicini. Quando si parcheggia la macchina sulla strada dopo una nevicata, occorre lasciare le chiavi inserite «pensando che il veicolo verrà spostato dall’ignoto guidatore dello spazzaneve di turno. Evidentemente, c’è un equilibrio tra fiducia nel prossimo e sottomissione a un potere che in inverno è smisurato: l’addetto non ci mette né a né ba a tumulare la tua auto, la ritroverai al disgelo».

È QUESTA DUREZZA di un ambiente dove la modernità è una crosta superficiale che fa scrivere a Casati: «Il paesaggio invernale è un paesaggio moralizzato, infinitamente normativo». Questa è la parola chiave di tutto il libro: normativo. Nell’inverno del New England sono ben poche le pasticcerie che offrono cioccolata calda e torta Sacher come sulle Alpi, né sono così frequenti i Grand Hotel, i negozi di giacche a vento high-tech, e le comode seggiovie che ti portano in cima alle nostre vette. Possiamo toccare con mano quanto siamo fragili come persone e quanto sia fragile il mondo che abbiamo creato. Si devono fare le cose in un certo modo perché il gelo lo impone: chi non spala la neve dal proprio vialetto resterà chiuso in casa fino a maggio, ammesso che abbia provviste sufficienti per sfamarsi.

Casati osserva che «solo da poco il clima è diventato intensamente oggetto del discorso pubblico, il che a ben pensarci è strano: abbiamo una sola atmosfera, non c’è un oceano di ricambio, l’acqua è insostituibile, e se il livello del mare sale chi ospiterà la popolazione che oggi abita sulle sue rive?». Eppure gli Stati Uniti hanno non solo potenti lobby che cercano di screditare le ricerche sul Global Warming, ma addirittura un partito che nega l’esistenza stessa del fenomeno, definendolo un «complotto cinese per danneggiare l’economia americana».
Poiché i repubblicani controllano la Camera, il Senato, la Presidenza e la Corte suprema, il loro atteggiamento sulla questione del clima è decisivo, come si è visto quando Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi.