Per raggiungere l’istituto Colosimo di Napoli bisogna salire il ripido scalone della chiesa di Santa Teresa degli Scalzi. Attraversati corridoi, aule, il teatro barocco, si sbuca sulla terrazza dell’ex convento che, in precedenza, era stata la dimora del duca di Nocera. Lì si trova uno dei magazzini, sull’uscio c’è una rampa, alle spalle la luce, all’interno il buio assoluto: dal primo al 31 maggio quello spazio sarà Blind Vision, installazione di Annalaura di Luggo a cura di Raisa Clavijo, articolata in quattro movimenti.

All’interno dello spazio ogni superficie è dipinta di nero, lo spettatore è un nonvedente costretto a orientarsi utilizzando gli altri sensi. A intervalli regolari, ognuno dei venti light box disseminati si accende, rivelando l’immagine a colori di un’iride: di Luggo utilizza una macchina fotografica che lei stessa ha brevettato, con macro obiettivo e lente oftalmologica, come già sperimentato nel precedente progetto Occh-Io/Eye I, ma in questo caso i soggetti sono venti nonvedenti o ipovedenti. L’immagine ingigantita dell’iride coglie sfumature, increspature, lesioni, trasformando un particolare anatomico in un paesaggio alieno.

Lo scatto viene preceduto da un periodo in cui l’artista impara a conoscere la persona che ha di fronte a sé: i modelli riconoscono di Luggo attraverso il tatto, gli odori, l’artista utilizza lo sguardo e il racconto delle loro storie. Ogni iride che si illumina porta con sé un frammento di quel racconto: «Vedere nero è vedere qualcosa, io non vedo niente» oppure «non riesco a capire da dove viene la luce» e ancora «sono cieco, sono normale». Fino alla rabbia («la gente mi domanda: ma perché i ciechi si possono sposare?») e i timori («ho paura di rimanere da sola»). Ogni volta che il light box si spegne, lo spazio piomba nel buio e nel silenzio; poi una nuova iride appare con la sua storia personale e il silenzio viene sostituito da un sottofondo di suoni ambientali, ideato dal sound designer Paky Di Maio. «L’idea di fondo – spiega di Luggo – è incontrare l’essere umano spogliato da ogni pregiudizio, con un approccio libero da quegli schemi che si strutturano automaticamente rispetto alla posizione sociale, l’età, il sesso, la religione».

Il viaggio prosegue poi in un secondo ambiente, ancora avvolto nell’oscurità, dove su un espositore è possibile interagire con l’opera tattile Essence, riproduzione di un occhio senza pupilla. Il terzo spazio ospita la mostra fotografica A Journey of light: il fotografo Sergio Siano racconta attraverso i suoi scatti il rapporto che si è andato costruendo tra l’artista e i venti protagonisti dell’installazione. Infine, il processo artistico è documentato dal video diretto da Nanni Zedda Blind Vision, in cui si ritrovano le interviste per intero: faccia a faccia in ambienti immersi nell’oscurità, dove solo i visi sono illuminati. «Molte volte voi non vedete – racconta Roberta Cotronei – perché le immagini affollano la mente e sono talmente tante da far perdere il filo di qualcosa molto più importante».