Composto di quaranta piccoli capitoli che chiudono lo spazio e il tempo di un percorso, quello dell’Arno dalla sorgente al mare, dal Monte Falterona a Marina di Pisa sul Tirreno, il nuovo libro di Simona Baldanzi (Maldifiume, Ediciclo, pp.240, euro 15) conserva nel farsi della scrittura l’avventura dei sensi, quello che nell’esperienza corporale vive un camminatore che esplora lo spazio sconosciuto di un attraversamento.

IL VIAGGIO A PIEDI, zaino in spalla (con la scritta «verità per Giulio Regeni») ed equipaggiamento tecnico, o in bicicletta, lo fa con Sergio, Marinella e Paolo, gente del Cai abituata ai sentieri di montagna, e ai molti che la raggiungono e incontra.
Un aspetto che colpisce subito è proprio la lieta leggerezza dell’incedere nel cogliere la natura percepita nei suoi odori, colori, di paesaggi e animali, tra presente e passato, quando i ricordi si accavallano, in una prosa volutamente in presa diretta che coinvolge, tipica del reportage di viaggio.

IL FIUME È UN LUOGO letterario che ha attratto più generazioni, il Po di Mario Soldati, quelli di Celati e Conti, «è un mistero come lo siamo tutti, all’origine», come avverte nelle prime pagine l’autrice toscana non nuova a libri ibridi fatti di storie dal vero, come l’inchiesta sui minatori del Mugello delle grandi opere.
Quando il viaggio diventa avventura, ricollega la sua esperienza vivida a tutto un repertorio letterario, di libri e letture, dal Dino Campana errabondo e orfico, al Dante del Purgatorio, i versi di Calvino, fino a Huckleberry Finn.
La natura del racconto è ondivaga, e liquida come il fiume, che non è solo un corso d’acqua ma diventa luogo della memoria e degi incontri, con la Storia e con le figure del mondo contemporaneo, evoca altri fiumi (Rio delle Amazzoni, Nilo, Mississipi, il Danubio, la Senna, fiumi di altri viaggi), un corpo a corpo con il suo passato, perché «l’Arno è troppo, non si può contenere».

COOPERATIVE di ambientalisti e partigiani a San’Anna di Stazzema, associazioni come Libera mente che accoglie rifugiati, la Firenze e i luoghi dell’alluvione del 1966, così in questo modo il libro diventa politico, racconta le piccole comunità fatte di chi si associa, resiste, sperimenta.
Spesso ci dimentichiamo della natura che ci vive intorno, sfregiata dal cemento e dai veleni dei nostri riti consumistici, non sentiamo più il canto degli uccelli, che pure c’è, sovrastato dal rumore di sottofondo.

LIBRI COME QUESTO non sono solo opere di letteratura, con una loro necessità espressiva e formale, ma veri e propri gesti di cittadinanza attiva. Prendersi cura di un fiume, infatti, attraversarlo «a passo d’acqua», sentirne le vibrazioni più intime, raccontarne le persone che lo abitano, i suoi animali, è un atto di civiltà e passione che avvince ma può anche turbare, come quando il falco pellegrino visto per la prima volta mette in soggezione l’autrice facendole sentire con la sua forza selvaggia «la miseria e la solitudine che ci portiamo dentro, la nostra relatività e i nostri limiti».