L’assurdo come strategia di risveglio dal torpore e per far rivivere spazi anarchici sottratti alla quotidianità più trita. E la gioia del linguaggio, piegato al gioco e a un uso umoristico capace di far nascere mondi da una sola parola. È così che Maria Elena Walsh immaginava (e praticava) la sua scrittura per i lettori più giovani, coltivando in loro la possibilità di sfuggire a ogni indottrinamento.

FIN DA PICCOLA, nell’ariosa casa con patio, limoneti, aranceti, rose, gatti e galline, si allenava ai prodigi del nonsense all’inglese, lo stesso che farà rotolare poi nei testi delle canzoni e negli stralunati personaggi dei suoi libri.

AUTRICE PRECOCISSIMA, pensò per tutta la vita che la lingua argentina fosse in pericolo e avesse bisogno di aggirare i cento vocaboli che l’avevano impoverita, ritrovando la fantasia delle radici. La ricchezza di un idioma come atto di resistenza, anche al potere. Walsh eresse quella barricata culturale e lo fece cantando (pure a Parigi), scrivendo romanzi, poesie e articoli. E siccome, diceva, la divertiva «l’accumulazione incontrollata dei bambini, mentre quando la stessa cosa avveniva fra gli adulti si determinava il destino di molti esseri umani», prese a raccontare storie per i più piccoli, diventando negli anni Sessanta una delle scrittrici e cantautrici più amate del suo paese, dedicandosi anche alle sceneggiature di programmi in tv (come Buenos días Pinky, nel ’58).

SE CON LA TARTARUGA Manuelita negli anni Novanta tornò alla narrativa per l’infanzia perché il bisogno di giocare non andasse perduto, è nel 1966 che vide la luce il suo ingombrante personaggio più riuscito, Dailan Kifki, l’elefante che un giorno viene lasciato davanti l’ingresso di una casa, trascinando nella sua folle esistenza di fughe, viaggi e incontri un’intera famiglia, nonno compreso. È la casa editrice La Nuova Frontiera a riproporre questo classico argentino col titolo Elefantasy (traduzione di Angela Ragusa, illustrazioni del vincitore dell’Andersen di quest’anno Andrea Antinori, pp.221, euro 16,50) dopo l’edizione del ’92 di Salani.

CON UN LINGUAGGIO fiorito e una sarabanda di situazioni paradossali che ricordano il ritmo forsennato delle allucinate avventure dell’Alice di Carroll, la storia di Dailan Kifki procede avvolgendo a spirale una intera comunità, che si affanna a inseguire un pachiderma indisciplinato suo malgrado. Capace di addormentarsi e finire a passeggiare in cielo, facendo volare (e desiderare) pompieri di grande bellezza e prestanza fisica. Per farlo scendere sulla terra, quel distratto ed enorme animale, occorrerà fare ricorso al sindacato degli aquiloni e seminare fra le pagine pappa d’avena in gran quantità.

INTANTO, si attraverseranno luoghi geografici non registrati sulle mappe, come il bosco di Gulubù, regno di un nano che parla con formule incomprensibili e ama le imprese impossibili, per esempio salire in groppa all’elefante per fare almeno quindicimila giri. In effetti, la convivenza domestica è meglio con gatto. Ma con Dailan Kifki di certo la noia è bandita.