La giurista indo-statunitense Sheila Jasanoff da oltre trent’anni si occupa di bioetica dell’innovazione. La incontriamo di nuovo a Roma, dove interviene al Festival delle Scienze organizzato dalla rivista «National Geographic» all’Auditorium. Il tema centrale della sua conferenza riguarda le biotecnologie, in pieno fermento dopo l’avvento del «gene editing» e della tecnologia Crispr-Cas9. La modifica genetica effettuata in Cina da Jiangkui He su due gemelle fa ancora discutere gli addetti ai lavori, mentre lo scienziato è sotto inchiesta da parte delle autorità cinesi.

Come giudica la reazione della comunità scientifica alla notizia?
La comunità scientifica si è mostrata molto sorpresa, ma in fondo era ciò a cui puntava la manipolazione genetica sin dagli anni ‘70. Sin dagli inizi, ci si è interessati a ciò che si può alterare e ai profitti economici che se ne possono trarre. Manifestare stupore per uno scienziato scorretto che ha violato le regole a me sembra estremamente ingenuo, o ipocrita.

Infatti, qualche scienziato era al corrente delle intenzioni di Jiangkui He.
L’avevo incontrato anche io nel 2017. Non condivideva le stesse preoccupazioni dei colleghi statunitensi, molto più accorti in materia di autorizzazioni bioetiche. Lui cercava segnali da parte dell’ambiente scientifico e nella start-up di Jiangkui He, è emerso in seguito, c’erano anche scienziati statunitensi.

Con Ben Hurlbut, nel 2018 ha proposto la creazione di un «osservatorio globale» per stimolare un dibattito pubblico su questo tema. Com’è stata accolta la sua proposta?
Con molto entusiasmo. L’obiettivo è allargare la discussione. Finora ci sono stati due summit internazionali sul gene editing, sotto la direzione di solo tre stati: Usa, Cina e Regno Unito. Il destino del genoma non può essere deciso solo da loro. In secondo luogo, vorremmo allargare il raggio d’azione della bioetica. È difficile trovare settori della biologia in cui gli esperti di bioetica abbiano davvero inciso nella decisione su ciò che si può fare o no. Alla bioetica è stato chiesto soprattutto di scrivere le regole che permettano agli scienziati di proseguire indisturbati nei loro piani. È servito soprattutto a evitare problemi, perché la cattiva pubblicità può avere conseguenze gravi. Il Congresso potrebbe tagliare i finanziamenti alla ricerca, ad esempio. Ciò che finora ha frenato l’istituzione dell’«osservatorio» è proprio la mancanza di fondi, come succede spesso nelle scienze sociali.

Si dice che non servono nuove regole per Crispr, perché di terapia genica si parla da almeno trent’anni.
Anche l’industria biotech sostiene che l’ingegneria genetica sia sempre esistita. Ma bisogna distinguere tra «evoluzione» e «rivoluzione» per decidere se un’innovazione abbia bisogno di nuove regole. Nel 1980 la Corte Suprema assegnò il primo brevetto su un organismo vivente come se nulla fosse: «qualunque cosa prodotta dall’uomo è brevettabile», decise la Corte, e poco importa se si tratti di un essere vivente o meno. D’altro canto, nel 2002 la Corte suprema canadese decise che forme di vita complesse non si possono brevettare. Ma una discussione globale non si è mai svolta. Non esiste un luogo in cui essa possa svolgersi. Combatto affinché nel campo degli studi su scienza, tecnologia e società si insegnino questi temi interdisciplinari. Invece ciascuno pensa che se ne debba occupare qualcun altro. E così si manifesta la sindrome delle regole: le questioni bioetiche profonde sono ritenute troppo speculative, perché parlano delle innovazioni che gli scienziati potrebbero fare domani e si ritiene dunque che sia inutile parlarne oggi; poi, quando le innovazioni arrivano davvero, si chiede alla bioetica di scrivere le nuove regole.

Data la sua facilità d’uso, la tecnologia Crispr è alla portata di molti laboratori. Si può persino comprare su Amazon. È più difficile da controllare?
Trattare la democratizzazione della biologia come un fenomeno nuovo non ha senso, secondo me. Ci sono ottime ragioni per rendere più democratico il governo della scienza e della tecnologia, quindi dovremmo escogitare il modo di assumerci responsabilità collettive in questi campi. Le caratteristiche uniche di Crispr sono altre. Si parla di terapia genica, ma una terapia prevede una malattia diagnosticata.
Nel caso delle gemelle Ogm è andata in modo diverso: le bambine non erano nemmeno nate e i genitori si sono presentati chiedendo di avere figli con una certa caratteristica. Sono bambine progettate a tavolino, non di pazienti che seguono una terapia. La causa del desiderio dei genitori è la particolare condanna sociale nei confronti dell’Aids in Cina. Ma ci sono altre soluzioni, dall’adozione alla diagnosi prenatale, che permettono di ottenere lo stesso risultato senza esporre le bambine ai rischi di mutazioni non desiderate, dell’influenza o del potenziamento cognitivo. Si tratta di rischi già documentati in letteratura.

Però ogni normativa bioetica si basa su una distinzione chiara tra la «terapia genica» generalmente autorizzata e il «potenziamento» dell’organismo, che invece è proibito. Esiste un’idea condivisa di questa distinzione?
In un determinato momento e in una determinata comunità, può anche esserci un ampio accordo su tale distinzione. Ma la linea di demarcazione si muove continuamente. Uno dei compiti dei bioeticisti è illuminare questi spostamenti. Inoltre, si tratta di una distinzione costruita socialmente. Ciò non significa che si debba rinunciare a ogni distinzione. Ci si dovrebbe preoccupare del fatto che le proprie azioni alterino il fondamento morale su cui si basa tale linea di demarcazione. Se si pensa che la demarcazione sia decisa una volta per tutte da qualcun altro, non si riflette sulla propria responsabilità.

 

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NOTIZIARIO

Fallito l’allunaggio israeliano

Beresheet, la sonda israeliana che sarebbe dovuta scendere sul suolo lunare, si è schiantata per un problema al motore e al sistema di comunicazione. Fallito il primo tentativo di allunaggio, iniziato con il lancio del 22 febbraio e finanziato da un’impresa privata, la SpaceIL. Costato all’incirca 100milioni di dollari, il progetto era nato da tre studenti per concorrere al Google Lunar Xprize, il premio finanziato da Google con 20milioni di euro destinati al primo veicolo privato che si poserà sulla Luna. Ma è stato realizzato solo grazie all’investimento di Morris Kahn, miliardario e poi presidente di SpaceIL. In caso di successo, Israele sarebbe diventato il quarto paese al mondo a riuscire nell’impresa, dopo Usa, Russia e Cina. Nei prossimi 12-18 mesi, altri 5 o 6 lanci verranno tentati da altre squadre, e uno di essi potrebbe avere un esito migliore di Beresheet. (An. Cap.)

 

 

 

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Nuovi obiettivi terapeutici contro il cancro

I ricercatori del Wellcome Sanger Institute di Cambridge hanno studiato i geni che permettono la sopravvivenza di trecento tipi di cellule tumorali, corrispondenti a trenta diverse forme di cancro. Spegnendo uno a uno tutti i geni delle cellule tumorali con l’aiuto della tecnologia Crispr, gli scienziati hanno identificato seicento geni decisivi per la proliferazione delle cellule patologiche. Ciascun gene, e la proteina corrispondente, è ora un potenziale obiettivo per lo sviluppo di farmaci in grado di riconoscere le cellule tumorali e combatterle selettivamente. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista «Nature» e tra gli autori principali figurano anche due ricercatori italiani, Francesco Iorio e Gabriele Picco. Un altro articolo «gemello» è stato pubblicato sulla stessa rivista, confermando i risultati attraverso un approccio alternativo. (An. Cap.)

 

 

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Un mondo affollato di Homo

Nella grotta di Callao sull’isola di Luzon (Filippine), un gruppo di paleoantropologi ha rinvenuto frammenti ossei e denti di una specie di Homo ancora sconosciuta. «Homo luzonensis» viveva da quelle parti fino a 50000-70000 anni fa, epoca in cui, in altre regioni del mondo, vivevano almeno altre 4 specie umane (sapiens, neanderthal, denisova e floresiensis). «Luzonensis» aveva una statura bassa e caratteristiche simili a «floresiensis», quasi contemporaneo ma rinvenuto sull’isola di Flores. La ricerca, edita dalla rivista «Nature», conferma come l’evoluzione umana sia stata molto più complessa di quanto si credeva anche solo una decina di anni fa, con diverse specie che si sono sovrapposte, estinte e talvolta ibridate. Sulla stessa isola sono state trovate tracce umane risalenti a 700 mila anni fa, forse riconducibili a un antenato di luzonensis. (An. Cap.)