1 Approvato frettolosamente 45 giorni dopo il 9/11 in nome della sicurezza nazionale, il Patriot Act è stato il primo di molti cambiamenti alle leggi sulla sorveglianza che hanno reso più facile per il governo spiare i normali americani ampliando l’autorità per monitorare le comunicazioni telefoniche ed e-mail, raccogliere record di rapporti bancari e creditizi e tenere traccia delle attività su Internet. Mentre in tanti pensano che sia stato creato per catturare i terroristi, il Patriot Act trasforma in realtà i normali cittadini in sospetti. Proprio in virtù della loro natura anticostituzionale alcuni dettami del PA erano stati pensati come «sunset provisions», in scadenza dopo pochi anni. Ma di volta in volta sono stati sempre rinnovati, anche dall’amministrazione Obama. Paradossalmente è con la presidenza Trump che le misure più controverse entrano in un limbo, in attesa di essere approvate dal Congresso. Il presidente aveva minacciato il suo veto perché temeva la loro influenza sulle indagini del Russia gate.

2 Il 26 maggio 2011, il senatore democratico Ron Wyden aveva raccontato: «Voglio lanciare un avvertimento: quando il popolo americano scoprirà come il loro governo ha segretamente interpretato il Patriot Act, sarà stordito e sarà arrabbiato». Stordito dal dilagare dei poteri di Fbi e Nsa nell’utilizzo di tutti i sistemi di tracciamento e spionaggio già in uso nei paesi esteri e poi utilizzati anche nei confronti dei cittadini americani. Arrabbiati perché tutta questa immensa attività di ascolto, di raccolta di conversazioni e metadati non ha portato letteralmente a niente. Dal 2008 al 2017, inoltre, il governo ha avuto la possibilità di accedere alle comunicazioni degli utenti di siti Internet popolari come Facebook, Google, Microsoft e Yahoo e raccogliere anche il contenuto delle comunicazioni di un utente, non solo i metadati.

3 Con il passare del tempo, grazie alle «libertà» concesse dal Patriot Act, forze di polizia e agenzie come l’Fbi hanno sempre più concentrato le attività di sorveglianza e persecuzione sulle minoranze, a partire dalla popolazione nera statunitense. Nel 2011, dei documenti dell’Fbi resi pubblici dall’American Civil Liberties Union hanno dato prova di una vera e propria «mappatura etnica» operata dagli agenti del Bureau incaricati di valutare i rischi potenziali alla sicurezza nazionale provenienti dall’interno degli Stati uniti. La comunità arabo-americana del Michigan è stata individuata come potenziale luogo di reclutamento di terroristi, quelle cinesi e russe di San Francisco come covi di associazioni mafiose, mentre si guardava con timore alla crescita della comunità afroamericana in Georgia nella lotta a un fantomatico «separatismo nero». L’Aclu ha denunciato il «targeting» delle persone su base etnica e religiosa, mentre l’Fbi ha difeso gli agenti che hanno solo «fatto il loro lavoro».

4 In un report del 2015, l’ispettore generale del Dipartimento di giustizia indicava che gli agenti dell’Fbi non sapevano indicare un solo caso di terrorismo risolto grazie al Patriot Act – benché undici anni prima, nel 2004, il direttore del Bureau Robert Muller proclamasse in un’udienza al Senato che il PA «si è rivelato straordinariamente utile nella guerra al terrorismo e ha cambiato il modo di operare dell’Fbi». Quest’ultima osservazione parrebbe l’unica aderente alla realtà, la stessa rivelata dal report della commissione del Senato, anni dopo, sull’utilità delle torture della Cia. In compenso però la limitazione dei diritti personali sancita dal Patriot Act continua a influenzare duramente la vita dei cittadini americani. Solo pochi giorni fa il «New York Times» analizzava in dettaglio come le stesse forze di polizia nella grande mela ormai risolvono anche i casi slegati dal sospetto di terrorismo con una sorveglianza indiscriminata, irruzioni e detenzioni arbitrarie che un tempo sarebbero state considerate inaccettabili.

5 Nel maggio del 2013, un dipendente della Nsa chiede un permesso per malattia e lasciala sua postazione nella sede dell’agenzia alle Hawaii. Da lì vola a Hong Kong, dove poco dopo incontra i giornalisti Glenn Greenwald, Ewen MacAskill e la filmmaker Laura Poitras, che gli dedicherà il suo «Citizenfour». È Edward Snowden, il whistleblower le cui rivelazioni, e i documenti classificati da lui resi pubblici, hanno portato all’attenzione del mondo il gargantuesco, e illegale, sistema di sorveglianza interna ed internazionale messo in piedi dalla National Security Agency – intercettazioni e raccolte di dati clandestine perfino di diplomatici europei, puntualmente smentite davanti al Congresso. Quando le sue rivelazioni diventano protagoniste di articoli di giornali come il «Guardian» e il «Washington Post», Snowden viene incriminato in contumacia di aver violato l’Espionage Act. Da allora, dopo aver richiesto asilo a decine di paesi, Snowden vive in Russia, ufficialmente un «traditore» del suo Paese.

6 Il marcio della Danimarca dentro al cellulare di Angela Merkel. Otto anni dopo il “Datagate” svelato dall’ex analista Cia, Edward Snowden, salta fuori il complice che aiutò la Nsa americana a spiare le conversazioni riservate della cancelliera, dell’ex ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier (oggi presidente della Repubblica) e dell’ex leader socialdemocratico Peer Steinbrück. E per Berlino è una gran brutta sorpresa.
Dietro al “grande orecchio” di Washington c’erano gli agenti del Forsvarets Efterretningstjeneste, i servizi segreti di Copenhagen, che misero a disposizione degli Usa la loro stazione di intercettazione di Sandagergardan. «Uno scandalo politico: le agenzie di intelligence vivono di vita propria» denuncia Steinbrück «per niente sorpreso» dalla clamorosa notizia emersa dall’inchiesta giornalistica congiunta della radio pubblica danese Dr, delle tv tedesche Ndr e Wdr, svedese Svt, norvegese Nrk e di due quotidiani, il tedesco Süddeutsche Zeitung e il francese Le Monde.