Ancora un doppio attacco kamikaze al cuore di Mogadiscio in un sabato pomeriggio di ottobre, appena due settimane dopo quello che è stato classificato come il peggiore attentato nella storia della Somalia (oltre 400 morti). Qui per ora si parla di una decina di vittime accertate, ma bisogna purtroppo rammentare che anche lo scorso 14 ottobre il bilancio delle due esplosioni (e in particolare di quella che ha quasi raso al suolo l’hotel Safari) sembrava in un primo momento assai meno grave.

Anche questa volta l’obiettivo principale era un hotel che si trova nel centro della capitale somala, vicino all’ex sede del parlamento e al palazzo presidenziale, caro all’establishment politico nazionale e agli ospiti internazionali. Non è un albergo qualsiasi, il lussuoso Nasa-Habloid, già colpito nel giugno 2016 con modalità analoghe a quelle messe in atto ieri: un’autobomba che viene fatta esplodere contro il cancello d’ingresso aprendo la strada all’irruzione nell’edificio di un commando armato. Il bilancio in quel caso era stato di almeno 15 morti e 20 feriti. Qui bisognerà capire anche gli effetti di una seconda esplosione, avvenuta a un incrocio non distante, al centro di una zona particolarmente affollata nel week end. Qui a seminare il terrore è stato un mini-van imbottito di esplosivo.

Tutt’altro che casuale è anche il giorno scelto dai terroristi per colpire l’hotel. Ieri al Nasa-Habloid era in programma un meeting tra il presidente somalo Mohamed Abdullahi “Farmajo” e i leader delle cinque repubbliche federali somale. Un incontro nel quale si sarebbe dovuto mettere a punto proprio una strategia comune contro il gruppo armato islamista al Shabaab, da anni incubo delle forze di sicurezza governative e delle diverse forze militari straniere presenti sul terreno. Il presidente, fa sapere un comunicato, al momento dell’attacco non si trovava nell’edificio in quanto l’incontro era previsto in serata. E stavolta, a differenza della strage di due sabati fa, mai rivendicata, al Shabaab non ha esitato a metterci la firma.

Si aggrava così l’escalation di sangue che ha investito Mogadiscio dall’inizio dell’anno, con oltre 20 attentati e almeno 500 morti. L’ultima strage, passata quasi inosservata, è avvenuta domenica scorsa in un sobborgo a sud della capitale, quando un bus che trasportava gente comune è stato investito dall’onda d’urto di un ordigno piazzato sul ciglio della strada. Risultato, almeno 12 vittime innocenti.

La strategia di al Shabaab, altrove alle corde per effetto soprattutto dei droni Usa, è sempre più quella di seminare il caos lì dove il governo si sente più sicuro, nella capitale.

Nel mirino c’è anche la presenza militare sempre più vistosa della Turchia, che ha da poco inaugurato una base in città. Il crescente coinvolgimento di Ankara nelle tormentate vicende somale non sembra aver giovato. Né promette nulla di buono il fatto che il Paese sia diventato, per posizione e potenzialità, uno dei terreni dello scontro in atto tra Qatar e Arabia saudita.