È scomparso all’età di 79 anni Jan Nemec, «Il lupo della Královské Vinohrady» – così, a indicare un quartiere di Praga si intitola il film autobiografico a cui stava lavorando. Per il cinema ceco è una fiammata che non si spegne, a dispetto della censura, dell’esilio, e del ritorno in patria in un blocco sempre più reazionario. Nella costellazione della nova vlna cecoslovacca, la stupefacente nuova onda di cinema degli anni sessanta, Nemec occupa un posto di prima grandezza, pari a quella di registi della sua generazione anch’essi scomparsi, Ewald Schorm, Eva Chytilova, Jaromil Jires, stili diversi sempre irriverenti. O da premio Oscar come Jiri Menzel con il suo Treni strettamente sorvegliati, unico ancora in attività del gruppo di quei cinque studenti di cinema che in Perline sul fondo composero un manifesto collettivo della nuova onda ispirandosi a racconti di Bohumil Hrabal.

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’episodio di Nemec Gli impostori (Podvodníci) metteva in scena due vecchietti che si vantano delle loro imprese e, alla loro morte si scopre che sono in realtà dei grandissimi bugiardi.

L’umorismo surreale, nota distintiva di questi registi diventati famosi a neanche trent’anni, in Jan Nemec assumeva dei toni pericolosi: erano più che scherzi o frecciate, il suo tono si faceva feroce quando ormai eri entrato nel gioco e non ne potevi più uscire.

Si direbbe che aveva previsto come si sarebbero svolti gli avvenimenti degli anni successivi nel suo paese e nella sua stessa vita. In Diamanti nella notte (Démanty noci, 1964) partecipiamo come in un incubo alla fuga di due ragazzi ebrei fuggiti da un treno che li conduce in un campo di concentramento. Sono alla ricerca di un pezzo di pane e la salvezza, braccati fino allo spasimo dalle stesse milizie ceche composte da vecchi rimasti sul territorio, un lungo inutile tentativo tra senso del pericolo, memorie e sogni.

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E se proprio non fosse stato chiaro l’apologo sull’oppressione ecco il successivo La festa e gli invitati (O slavnosti a hostech, 1966), subito censurato, dove non passa inosservata la severa presenza di Schorm,uno che rifiuta i compromessi. La festa in campagna del film fa venire in mente la grande festa del cinema a cui partecipavano quei ragazzi ricoperti subito da una quantità di premi o l’intera società che viveva l’euforia della Primavera di Praga. E anche qui la paura arriva: i nuovi arrivati al pranzo dei borghesi e dei burocrati giocano sono messi sotto tiro, c’è qualcuno che comanda e sguinzaglia cani e uomini armati. Due anni di censura per il film, seguito dal fantasioso e più cauto Martiri dell’amore in tre episodi, storie romantiche di amori impossibili al limite del surreale, lui le definì «farse cupe».

Dopo il 21 agosto del ’68, all’arrivo dei carri armati sovietici tutta quella generazione di cineasti è ridotta al silenzio, un gelo che li accompagnerà per i venti anni successivi con diversi destini. Jan Nemec con un operatore filma tutto: «Ho ripreso, diceva, quello che succedeva in piazza Venceslao, davanti alla sede del partito comunista, sui ponti attraversati dai tanks, ma soprattutto carri armati russi, vetture in fiamme, scariche di mitra, morti. Sono quattro bobine che seguono l’ordine cronologico degli avvenimenti, senza montaggio». Il giorno stesso riesce a inviare il materiale a Vienna, con le frontiere occupate, grazie a un italiano e a un’attrice ceca.

Il 22 agosto la tv austriaca manda in onda Oratorio per Praga che fa il giro del mondo. Il regista quarant’anni dopo, nel 2008 rievocherà quegli avvenimenti nel film Holka Ferrari Dino. Per lui nel 1968 restava la prigione o l’esilio e decise per la Germania e poi gli Stati uniti dove già Milos Forman aveva trovato un ambiente ideale per proseguire il suo clamoroso percorso iniziato con Gli amori di una bionda.

Abbiamo chiesto una volta a Forman notizie di Nemec negli Usa, del perché non avesse proseguito la sua carriera con altrettanto successo, ci disse che si trovava spaesato, sentiva la mancanza del suo paese e dei suoi punti di riferimento. Realizza film per la tv, ricorda con i poeti Brodsky, Milosz (The Poets Remembers, 1989). Torna infine a Praga nel 1989. Stranieri in patria erano diventati anche i suoi compagni, le scrivanie piene di sceneggiature mai approvate, amareggiati e pur capaci appena possibile di realizzare ancora qualche film al curaro.

Nemec compie qui dei grandi riepiloghi, rimette mano alla storia in Nome in codice: Rubin (Jmeno kodu: Rubin, 1997), vince il Pardo d’oro a Locarno con Chiacchiere a notte fonda con la Madre (Noční hovory s matkou, 2001), dove ripercorre la sua vita e gli eventi del suo paese in un dialogo con la madre morta da tempo, alla ricerca di una assoluzione finale. Ritornerà infine, prima della sua autobiografia, a La festa e gli invitati che rimette in scena a teatro nel 2015.